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È una volgare proposta di stampo xenofobo e sessista, un tentativo di riportare indietro la Svizzera alla realtà economica e sociale degli anni Cinquanta, uno strumento per aumentare ulteriormente la pressione sui salari, per dare ancora più libertà di manovra a quei padroni senza scrupoli che già oggi approfittano delle larghe maglie della legge per sfruttare lavoratrici e lavoratori e “ideale” a incentivare il lavoro nero e ogni forma di illegalità.
Dietro il lusso griffato Gucci, ci sono persone in carne e ossa, la cui vita deve essere sempre a disposizione quando l’impresa ti chiama. O ti manda un messaggio. Ore sette di mattina. Davanti al suo carrello elevatore, Giovanni si appresta a spostare parte dei 19 milioni di pezzi che ogni anno vengono spediti da quel magazzino. Lui e i suoi 150 colleghi spediscono mediamente 2.300 colli ogni ora. “Un gioiello della logistica”, è stato definito il nuovo stabilimento di Sant’Antonino della Luxury Goods International, volgarmente conosciuta come Gucci. Sarà, ma all’interno di quelle mura la vita ha ben poco di lussuoso.
È un settore vulnerabile e critico quello agricolo a forte rischio di lavoro nero e sfruttamento. Non lo dicono i media, ma le istanze cantonali preposte alla sorveglianza del lavoro. Nel 2014, in collaborazione con le gendarmerie ticinesi, sono già stati effettuati controlli in 100 aziende del settore con 18 inchieste avviate. Per combattere il fenomeno, ci dicono da Bellinzona, sarebbe necessario un Ccl, mentre la parte padronale dovrebbe essere più presente e attiva.
Neanche il coordinatore nazionale Fiom per la siderurgia Gianni Venturi, e Rosario Rappa della segreteria nazionale, sono stati risparmiati dai manganelli della Polizia. Botte per gli operai della Ast di Terni e persino per Maurizio Landini che cercava di interporsi tra i manganellatori in divisa e la giusta rabbia dei manganellati.
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