Ai cellulari spioni siamo abituati, mentre le telecamere negli spazi pubblici sono diventate talmente comuni, che neanche più le vediamo. Una sorta di anestesia generale sembrerebbe funzionale alla società della sorveglianza. Un tassello alla volta, finché la nuova diavoleria si trasforma in normalità, e quando arriva la prossima a malapena ci fai caso. In virtù di un bisticcio col gestore telefonico, in questi giorni il mio iPhone funziona solo con un wi-fi. Esperienza irritante, ma anche illuminante. Mi sono resa conto, per esempio, che senza Mappe sono ormai una minus habens. Dovevo recarmi in una zona che non conosco, il navigatore del telefono al momento non mi assiste e allora mi son detta poco male, mi studio la cartina prima di uscire. L’ho osservata a lungo sul monitor del computer di casa. Il mio cervello si rifiutava di archiviare le informazioni. Giro a destra, poi a sinistra, no aspetta non è mica vero. Una sciocchina, insomma, tanto che con un tocco di imbarazzo ho finito per chiedere a mio marito di prestarmi il suo telefono intelligente. Almeno non mi sarei persa e non avrei mandato gambe all’aria il programma familiare della giornata. Il sant’uomo ha acconsentito, mentre la sua punta del naso vibrante svelava che se non mi era sbottato a ridere in faccia, era per risparmiarmi l’umiliazione e prevenire, non si sa mai, il fenomeno della moglie offesa, che è com’è noto una delle piaghe matrimoniali. Alla fine, per pura testardaggine il navigatore non l’ho usato. Intendiamoci, ho inserito la destinazione. Poi ho attivato il silenziatore e mi sono arrangiata senza. Non mi sono persa. Per coronare l’impresa, ho deciso di riattivare il mio telefonino dei primi anni Duemila. La cosiddetta “cozza” scandinava con cui scatti foto minuscole, fai e ricevi telefonate, mandi brevi messaggi di testo. Confesso: la pervasività del digitale mi sta trasformando in una luddista. Rivoglio il telefono a casa, uno col disco con le cifre, e uno di quei modem di quando avevo vent’anni, che per portarti in giro per il mondo immateriale rumorosamente componevano un numero di telefono. Ridatemi il mangiadischi e la macchina fotografica con il rullino da sviluppare, che fino al ritiro delle foto non sai se hai catturato un momento magico o uno sgorbio sfocato. Mentre rimugino su come tornare agli anni Ottanta, mi ritrovo fra le mani l’ultimo numero del periodico Saldo. E mi tocca leggere che un’ordinanza dell’UE, che la Svizzera ha ratificato, impone che le automobili ci sorveglino in continuazione per prevenire gli incidenti stradali. Dal 1° aprile, le nuove macchine devono avere un sistema che filmi il conducente. I dati devono rimanere nel veicolo, e noi dobbiamo avere il diritto di accecare lo spione. Ma c’è un trucco: si riattiva a ogni accensione del veicolo e quindi, a essere cocciuti, devi ogni volta cliccare per esercitare il tuo diritto a non essere filmato. Molti produttori aggiungono altri meccanismi che inviano alla casa madre informazioni tecniche di ogni sorta. Anche a quelli ci si può opporre. Ma, come al solito, il sistema si fonda sul silenzio assenso. Se vuoi dire di no, ti tocca andare a leggere le regole scritte minuscole nei contratti e poi avere tempo e pazienza per scrivere ficcanti missive in burocratichese. La nostra auto è del 1998 e che la dea ce la conservi a lungo in salute. Perché lei non ci spia. |