Salari da fame, anche chi ha un lavoro è povero come capita a 7 milioni di uomini e donne. E allora che fa il governo Meloni? Cancella il reddito di cittadinanza, una sorta di airbag per dare un po’ di respiro a chi è in gravi difficoltà economiche e, al tempo stesso, impedisce al Parlamento di legiferare e persino di discutere l’introduzione di una legge sul salario minimo dicendo che è compito dei sindacati recuperare l’inflazione con i contratti, però non rinnova i contratti pubblici e quelli privati sono in gran parte già scaduti. Ma ecco il 1° Maggio, ed ecco l’ennesima mossa da prestigiatore del presidente (il maschile è stato chiesto da lei, pardon da lui) del Consiglio. Giorgia Meloni lancia una polpetta ai poveracci, come il Marchese del Grillo lanciava ai “pezzenti” monete d’oro incandescenti per bruciar loro le mani: 100 euro da riscuotere, a gennaio, ma lo dice ora perché si va a votare per l’Europa, a chi ha un reddito inferiore a 28mila euro. È una polpetta avvelenata perché può accedervi solo chi guadagna almeno 8.500 euro e quindi deve pagare le tasse, se sta sotto e non ha doveri con il fisco niente bonus. È avvelenata perché i 100 euro sono tassati al 23% e quindi quel che resta è una marchetta da 80 euro. È avvelenata, la polpetta, perché non è automatica e per metterla nel piatto devi fare domanda al tuo padrone e compilare bene la richiesta ottemperando a ogni disposizione e scavalcando ostacoli e burocrazie. È avvelenata perché i 100 (80) euro li può incassare solo chi ha lavorato tutto l’anno, se hai lavorato solo sei mesi peggio per te, il bonus si riduce a 50 (40) euro.

 

Ha fatto bene il segretario della CGIL Maurizio Landini a non andare all’incontro finto convocato dal governo poche ore prima di varare il “Decreto 1° Maggio” già deciso in ogni suo punto. Che democrazia è quella che riduce il confronto con i sindacati a un’informativa su una decisione già presa? Che democrazia è quella che rimuove un problema economico e sociale enorme nascondendolo con un’elemosina che umilia i lavoratori, tentando di cancellare la loro dignità? Se fossimo in Ungheria dove Orbán non si nasconde dietro un dito la chiameremmo “democrazia illiberale”. È vero, la giustizia a Budapest è messa un po’ peggio che da noi, come certifica Ilaria Salis, ma che giustizia è la nostra che manda a processo chi chiama fascista una fascista (caso Luciano Canfora) e gonfia di botte i ragazzini rinchiusi nel carcere minorile Beccaria?

 

Ancora morti sul lavoro

Con le piazze ancora calde per le manifestazioni del dì di festa dei lavoratori altri due lutti solo nel Napoletano: due operai edili morti in cantiere. È una carneficina che continua, implacabile come le politiche del governo che hanno varato nuovi editti per precarizzare ulteriormente il lavoro con i subappalti a cascata e l’estensione dei contratti a termine che sono alla base della strage quotidiana di chi quando esce di casa per andare a lavorare spera solo di poterci tornare, a casa. La lotta contro le morti e gli infortuni sul lavoro era il titolo delle manifestazioni in tutt’Italia del 1° Maggio. La festa è stata unitaria, nel senso che sia il concertone di Roma sia i comizi a Monfalcone erano targati CGIL, CISL e UIL. Con CGIL e UIL che denunciavano la responsabilità e l’arroganza del governo e la CISL che plaudiva ai “passi in avanti” del governo. Passi avanti sì, ma sull’orlo del precipizio morale, sociale, economico in cui il fascio-liberismo sta trascinando il Paese.

 

La politica pensa ad altro, alle elezioni europee come occasione per sbaragliare l’avversario interno e il nemico esterno più che per cambiare l’Europa. Piuttosto, per trasformare una repubblica antifascista fondata sul lavoro in una post-democrazia autoritaria dove si menano gli studenti, si precettano i lavoratori, si occupa la cosa pubblica, si vuol espropriare la donna persino del suo utero. Meloni contro tutti con una inquietante personalizzazione del partito e della politica, capolista in ogni circoscrizione con il nome Giorgia nelle schede e chi se ne frega di Strasburgo dove non andrà mai. Forse ancora più inquietante è il Pd che scimmiotta Giorgia con la stessa personalizzazione del partito e la sostituzione del noi con l’io. Ma siccome nel Partito democratico comandano i capibastone, Elly Schlein deve fare un passo indietro, il suo nome non sarà nel simbolo elettorale e lei potrà sfidare “il” presidente del Consiglio solo in due circoscrizioni. Anche lei ammette che a Strasburgo, una volta eletta, non andrà. Peccato per chi la voterà, ma se lo fa Giorgia come si fa a chiamarsi fuori? Tra poco ci sarà il duello televisivo tra due donne, si giocherà sull’immagine non sui morti sul lavoro, sarà una sfida tra armocromiste e non una lotta di classe.

 

È grave che in una degenerazione della politica come quella a cui assistiamo in Italia i sindacati non siano uniti, se non formalmente e solo il 1° Maggio. È grave che sia solo la CGIL a raccogliere le firme per 4 referendum: per ripristinare l’articolo 18 sui licenziamenti individuali, contro i contratti “a tutele crescenti” che dividono i lavoratori di serie A da quelli di serie B; per reintrodurre le causali per autorizzare i contratti a termine; per farla finita con i subappalti a cascata dando alle aziende committenti la responsabilità sull’intera filiera anche in caso di infortuni sul lavoro. Per fortuna, nella piena autonomia delle scelte tattiche sui referendum, regge e sembra rafforzarsi l’accordo tra la CGIL e la UIL. Ma, forse, la sfida più importante è la ricostruzione della solidarietà e dell’unità dei lavoratori in carne e ossa, perché si sviluppino i primi anticorpi per fermare la guerra tra poveri e riaffermare i valori fondativi del 1° Maggio e del movimento operaio: internazionalismo, solidarietà e pace.

Pubblicato il 

03.05.24
Nessun articolo correlato