Ci sono questioni teoretiche che con una certa regolarità riemergono nel discorso pubblico. Trattano di problematiche di fondo, come del valore della vita, della bontà o no di un'attitudine generale, della legittimità o meno di un determinato intervento. È il caso, ormai classicissimo, dei rapporti sempre delicatissimi tra stato e chiesa, tra ente pubblico ed istituzione ecclesiastica, tra società civile e comunità spirituale, tra politica e religione. In sostanza, secondo alcune posizioni tra le due realtà ci dovrebbe essere separazione completa e quindi nessuna possibilità di confronto, intesa, influenza o ingerenza dell'uno sull'altra. Stando ad altre visioni, alle due entità è riconosciuta un'autonomia parziale o totale, poiché si muovono su terreni comuni. Altre prospettive affermano la dipendenza dell'entità terrena (politica o statale, che dir si voglia) da quella trascendentale (divina) o viceversa il diritto dello stato di legiferare anche in materia religiosa.
In Occidente, nelle relazioni tra stato e chiesa si è di norma raggiunto un sano equilibrio che consente di affrontare con correttezza e nel rispetto delle responsabilità rispettive e delle competenze specifiche i problemi d'interesse condiviso. È vero che, in una società che tende ad evacuare dallo spazio collettivo il discorso religioso, relegandolo sempre di più nel recinto privato, l'ago della bilancia tende a pendere verso una minore possibilità d'influenzare le convinzioni del corpo civile e, di conseguenza, di dettare i criteri delle scelte politiche, amministrative e giuridiche. Anche in quest'ambito, le differenze di sensibilità dottrinale o ideologica si fanno notare. Ne è stato un esempio il dibattito sull'apertura domenicale dei negozi, lo scorso anno, giustificata dagli uni con motivazioni economiche o morali (la libertà di decidere senza restrizioni), combattuta dagli altri con spiegazioni etiche, religiose, culturali o sociali (il diritto al riposo settimanale o la bontà di garantire degli spazi proprio alla famiglia).
Di recente, la problematica è stata risollevata in riferimento alle contestate leggi federali sull'asilo e sugli stranieri, contro le quali si sono schierate con determinazione anche le chiese cristiane, le principali organizzazioni religiose nazionali e le maggiori comunità confessionali (ebrei e musulmani svizzeri, si badi bene!). Il fatto che questa robusta discesa in campo comune susciti l'irritazione ed il biasimo di ambienti legati alla destra estremista, liberista e xenofoba (come il tribuno Christoph Blocher, che ha preteso di richiamare all'ordine vescovi, pastori e altri esponenti religiosi perché, a suo dire, s'immischiano troppo di politica), dimostra paradossalmente che hanno colpito nel segno. L'intervento nell'arena di chi è spinto da convinzioni religiose mi sembra non solo legittimo sul piano politico, bensì pure necessario in senso etico, sociale e culturale. Spesso si muove come un elefante in un negozio di cristalleria proprio chi vorrebbe zittire quanti desiderano pensare ed agire secondo coscienza.

Pubblicato il 

08.09.06

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