Il 2 ottobre 2019, un’e-mail urgente arriva agli indirizzi dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (AFC), a Berna. Oggetto: imposta sul tonnellaggio. Mittente: la più grande compagnia di trasporto marittimo al mondo, la Mediterranean Shipping Company (MSC). Questo colosso basato a Ginevra chiede come mai il Consiglio federale non abbia ancora avviato le consultazioni sulla nuova imposta sul tonnellaggio. “Questo ritardo sta creando una certa incertezza per il Gruppo MSC” si legge nel messaggio reso noto dal sito svizzero tedesco Reflekt. Il gruppo, fondato nel 1970 dal napoletano Gianluigi Aponte, vuole mantenere alta la pressione affinché la Svizzera introduca un nuovo regime fiscale per gli armatori. La cosiddetta “imposta sul tonnellaggio applicabile alle navi” che prevede che le compagnie di navigazione vengano tassate non in funzione degli utili bensì sulla base della capacità di carico delle proprie imbarcazioni.

 

Si tratta di un vecchio sogno degli armatori, già applicato in vari paesi, che permetterebbe loro di risparmiare milioni di franchi sulle imposte. Nella Confederazione a chiedere questa riforma tributaria è soprattutto MSC, gruppo che oggi controlla una flotta di 760 navi e che, nel 2022, ha realizzato un utile netto mirabolante: 36,2 miliardi di franchi. Non è un caso, quindi, se dietro a questo progetto vi sia proprio la lunga mano del colosso di proprietà della famiglia Aponte, una delle più ricche della Svizzera.

 

Due anni e mezzo dopo l’e-mail inviata da MSC all’AFC, il Consiglio federale ha presentato al Parlamento una legge per permettere questo metodo alternativo per determinare l’imposta sull’utile. La giustificazione alla base di questa proposta legislativa – ironicamente definita Lex MSC – è quella di rafforzare la posizione della Svizzera come importante centro per il commercio marittimo. Non saranno però soltanto i puri armatori a poterne trarre vantaggio. Come ricordato da Public Eye, anche i commercianti di materie prime potrebbero giovare di questo nuovo regime fiscale. Secondo le stime dell’ONG, i commercianti di materie prime con sede in Svizzera controllano almeno 2.200 navi oceaniche. Ad esempio, le ginevrine Trafigura e Vitol possiedono rispettivamente 400 e 270 navi. Nel 2022 questi due commercianti di petrolio hanno realizzato utili netti record: 7 miliardi di dollari per Trafigura e 15 miliardi di dollari per Vitol. Con l’introduzione della tassa di tonnellaggio, questi giganti potrebbero semplicemente trasferire i propri utili alle proprie divisioni shipping e trarre enorme beneficio dal nuovo regime fiscale. Un fatto,  questo, che è quasi suggerito dal Consiglio federale che, nel suo messaggio del 2022, scrive: “Indirettamente, le imprese che operano nel commercio di materie prime possono beneficiare comunque dell’imposta sul tonnellaggio se investono di più nel trasporto marittimo di materie prime”.

 

Ma quanto costerebbe alle casse pubbliche l’introduzione di questa nuova tassa? Né l’amministrazione né il Governo sanno dare una risposta a questa domanda fondamentale. Il Consiglio federale afferma che “le ripercussioni finanziarie dell’imposta sul tonnellaggio non possono essere stimate in modo affidabile per la carenza di dati statistici”. Nonostante l’assenza di informazioni al riguardo, nel dicembre del 2022 il Consiglio federale ha accettato il progetto, non esitando a estenderne la portata persino alle navi da crociera di cui sempre MSC è un leader mondiale. Da parte sua, il Consiglio degli Stati ha adottato un approccio più cauto. Inizialmente previsti per il febbraio 2023, i dibattiti sono stati rinviati a ottobre dalla Commissione dell’Economia e dei Tributi (CET), a causa proprio della mancanza di chiarezza. Cinque giorni prima delle elezioni parlamentari, sono stati nuovamente rinviati. Il motivo di questo nuovo rinvio: la CET vorrebbe indicazioni più concrete sulle conseguenze finanziarie oltre che un parere dell’Amministrazione in merito alla proposta che chiede la costituzione di un fondo per il finanziamento di misure ecologiche. Infatti, la proposta svizzera, a differenza di quanto avviene in altri Stati, è molto debole per quanto riguarda gli obblighi ambientali a cui le imprese sarebbero soggette in cambio di questo regime fiscale.

 

La CET si è così chinata in questi giorni sulla questione. La maggioranza della commissione ha bocciato (7 a 4 con 2 astenuti) questa proposta perché «è difficile quantificare i vantaggi e gli svantaggi» e perché «il rischio di perdita di entrate è troppo alto, vista la difficile situazione finanziaria della Confederazione».La concomitanza con i nuovi tagli chiesti a tutti i settori (escluso l’esercito) dalla ministra delle finanze Karin Keller Sutter, volti a colmare il deficit di finanziamento della Confederazione, ha forse spinto alcuni senatori ad una maggiore prudenza. Di sicuro non ha giovato al progetto nemmeno il preannunciato referendum da parte della sinistra: dall’eliminazione della tassa di bollo (2022) e dell’imposta preventiva (2022), passando per la terza riforma sulla fiscalità delle imprese (2017), le votazioni in ambito fiscale negli ultimi anni hanno spesso visto primeggiare il fronte progressista. Probabile che anche in questo caso il popolo svizzero avrebbe scelto di non favorire, in un contesto di vacche magre, chi dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina è uscito gonfiato d’oro.

 

A meno di clamorose sorprese, il Consiglio degli Stati dovrebbe quindi votare di No alla proposta nella prossima seduta primaverile. Il progetto degli armatori rischia quindi di naufragare.

Pubblicato il 

19.02.24
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