Nel febbraio del 2023 Iman Amirmohammadi prende una decisione che cambia per sempre la sua vita. L’uomo ha praticato le arti marziali miste (MMA) ed è all’epoca presidente della federazione iraniana presente ai campionati del mondo di Belgrado. La squadra femminile gli chiede di poter combattere senza hijab, il velo che tutte le donne in Iran sono obbligate a portare. In patria le ragazze combattono tra di loro velate, ma sfidare avversarie che un velo non ce l’hanno può rivelarsi pericoloso: «Ho così acconsentito alla loro richiesta, consapevole dei rischi che questa scelta di libertà poteva comportare» ci spiega l’uomo, attualmente residente presso il centro della Croce Rossa di Cadro. A seguito di questa decisione, Iman viene minacciato dai rappresentanti delle autorità iraniane presenti in Serbia, in particolare dall’ambasciatore: «Mi ha detto che quello che avevo fatto avrebbe avuto delle conseguenze molto pesanti una volta tornato in Iran».


Incontriamo lo sportivo in un bar di Lugano. In un inglese quasi perfetto ci racconta la sua storia, il guanto di sfida lanciato al regime degli Ayatollah, la fuga, il viaggio e il presente tortuoso e pieno di speranze in Ticino. Il suo sguardo gentile e malinconico contrasta con il suo fisico scolpito, da lottatore. Ci mostra il video di una cerimonia di premiazione ai campionati di Belgrado in cui lui stesso consegna la medaglia al terzo classificato, il suo connazionale Mohammadsaleh Roshan. Un dettaglio balza all’occhio: a differenza degli altri medagliati, lo sportivo iraniano non indossa la bandiera del suo paese. Una scelta che Iman dice di avere preso in opposizione al proprio regime: «Non mi riconosco nella bandiera della Repubblica islamica». L’uomo sa che a Belgrado ha preso scelte forti. Immagina di dovere abbandonare la carica sportiva che ricopre, ma non pensa certo al comitato d’accoglienza che lo attende all’aeroporto Imam Kohmeini di Teheran.

 

Qui viene arrestato dai funzionari dell’intelligence e interrogato con violenza sui fatti avvenuti in Serbia. Rilasciato, Iman torna a Kerman, la sua città. Qui viene nuovamente arrestato e costretto a lasciare la carica di presidente della federazione. È allora che Iman decide di andarsene: «Temevo per la mia vita, per quello che ho fatto a Belgrado ma anche per il semplice fatto di essere cristiano. Nel mio paese sono considerato un infedele e ciò può portare persino alla condanna a morte».


Da anni la situazione dei diritti umani in Iran è estremamente problematica. Il mandato del presidente Ebrahim Raisi è caratterizzato da una repressione spietata. I servizi di sicurezza e di intelligence prendono violentemente di mira i dissidenti, con la complicità della magistratura. La tortura e altri maltrattamenti sono sistematici e diffusi. Una situazione che è peggiorata dopo la morte di Mahsa Amini, la giovane donna curda morta in circostanze sospette nel settembre 2022 dopo essere stata arrestata poiché non indossava correttamente il velo. È questo il Paese che Iman decide di lasciare, circa un anno fa. Passa la frontiera con la Turchia e dopo un viaggio di quasi un mese, in cui «per fortuna è andato tutto bene», arriva in Svizzera dove fa richiesta d’asilo. Qui si sente finalmente al sicuro, anche se teme la presenza dei servizi segreti iraniani, noti per avere una rete capillare in tutto il mondo. Nel luglio 2023, alcuni siti in persiano diffondono la notizia della sua presenza in Svizzera e ancora oggi Iman non si raccapacita di come l’informazione abbia potuto circolare in patria. L’uomo cerca di dimenticare l’episodio e continua la sua vita con le difficoltà consuete di chi è in attesa di una decisione sulla propria domanda d’asilo.


In ottobre viene affidato al Canton Ticino. A sud delle Alpi Iman cerca di sconfiggere le difficoltà della sua condizione d’attesa attraverso varie attività. È andato in palestra, dove ha potuto combattere un po’ e dove è stato accolto molto bene. Ma l’uomo non è solo un praticante di MMA: ha una laurea in anatomia, una in filosofia dell’arte ed è un artista poliedrico. A Lugano, l’uomo si iscrive così all’USI, al Master di medicina, studia l’italiano, frequenta la biblioteca cantonale e il museo Vincenzo Vela di Ligornetto dove dovrebbe iniziare uno stage. Da scultore, Iman, è già stato in diversi paesi. «Anche in Italia» ci dice con orgoglio, mostrandoci una locandina di un convegno in Toscana del 2018 dove era tra gli invitati. Ci mostra anche i suoi disegni fatti in Ticino su un apposito tablet, nella sua stanza di Cadro o lungo il fiume, verso Tesserete, dove gli piace andare a disegnare. Tante opere sono raffigurazioni di corpi femminili: «In Iran non potrei mai farlo. Ancora oggi, anche in Svizzera, quando disegno ho l’impressione che mi possano beccare a fare qualcosa di proibito».

 

Quando lo incontriamo, Iman è in attesa di una decisione sulla sua sorte. Ha avuto il suo secondo colloquio e spera. Gli chiediamo se si è mai pentito della sua scelta, di quel giorno a Belgrado: «Assolutamente no. Rifarei tutto. Nel mio piccolo ho aperto una breccia contro il regime islamico e spero che le cose possano cambiare. In patria, dove vivono ancora i miei genitori e i miei fratelli, non posso più tornare, ma vorrei rifarmi la vita qui». Un sogno svanito qualche giorno dopo quando Iman ci manda un messaggio: «La mia domanda è stata respinta, la Svizzera non mi vuole».

Pubblicato il 

21.03.24
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