Milano, il ritorno dei caporali

Ore sei a piazzale Lotto a Milano in una mattina di fine luglio. Persone con sacchetti di plastica o lo zainetto sulle spalle cominciano a riempire la piazza. Sono i lavoratori reclutati a giornata al nero per tre – quattro euro l'ora. Aspettano i caporali, per essere caricati sulle station wagon e poi smistati nei vari cantieri lombardi. Sono chiamati gli invisibili perché privi dei regolari permessi, e quindi sulla carta non figurano. Sono lavoratori senza diritti, costretti a rischiare la vita ogni giorno nei cantieri perché per loro la sicurezza è un concetto che non esiste. In posti come questi sono stati reclutati gli operai « alloggiati » in condizioni indegne nello stesso cantiere dove erano stati portati a lavorare nella periferia di Lugano (vedi area del 5 giugno 2009).

Nella piazza a due passi dalla redazione del giornale di Confindustria, il Sole 24 ore, va in scena un ottocentesco «libero mercato» degli esseri umani. Come agli albori della rivoluzione industriale, una massa di disperati si muove dalla periferia verso il centro per vendere le sue braccia, la forza lavoro, a qualsiasi prezzo pur di sopravvivere. Uomini indifesi perché, come agli inizi dell'ottocento, privi di una organizzazione collettiva che li possa aiutare nel far valere i loro diritti. Sono i moderni schiavi, vittime di speculatori che cercano il profitto sfruttando la disperazione economica delle persone. D'altronde, il bacino di braccia non sembra mancare. Le cifre sono impressionanti. Su 160mila impiegati nell'edilizia nella provincia di Milano, circa la metà sarebbero irregolari. Nella sola Milano, il mercato delle braccia a giornata nel settore edile è stimato sulle 5mila persone. E con Expo 2015 e la crisi economica, il loro numero è destinato a crescere.
Mentre osserviamo il via vai di schiavi e caporali, chiediamo conferma al conducente dell'autobus della linea 91 di essere nel posto giusto «Certo, questo è uno dei posti. Da quando però voi giornalisti avete iniziato ad occuparvi del tema, per paura della repressione, si sono sparpagliati anche in altre piazze milanesi. Qui a piazzale Lotto, prima dei servizi giornalistici, era impressionante. A volte non riuscivo neanche a fermarmi con il bus alla fermata, tanta era la calca». Malgrado siano diminuiti e l'imminenza delle ferie estive dell'edilizia rallenta gli ingaggi giornalieri, il movimento di persone non sfugge. La stragrande maggioranza sono persone immigrate, provenienti dal Maghreb, dall'Asia, dal Sud america  o dell'Europa dell'est, scappate dalla miseria con la speranza di una vita migliore. Nella realtà di oggi sono costretti a prostituire le loro braccia sui marciapiedi lombardi e a rischiare la vita nei cantieri per pochi euro. Nei loro volti, nei loro occhi, si legge l'amarezza di un sogno infranto.
Gli inarrestabili flussi migratori e l'introduzione di leggi repressive nei loro confronti, costituiscono le fondamenta di questa piaga secondo Franco De Alessandri, segretario Cgil degli edili della Regione Lombardia: «Il fenomeno ha conosciuto una forte crescita dopo l'introduzione della legge contro l'immigrazione Bossi-Fini, che ha portato ad un'alta disponibilità di braccia sul mercato del lavoro ad un prezzo bassissimo, di persone estremamente ricattabili dai caporali».  
Sarebbe però errato credere che la colpa sia solo delle spregevoli figure dei caporali. Questi esistono perché il sistema glielo permette. Ancora l'alto funzionario sindacale Cgil De Alessandri: « La "legge Obbiettivo" relativa alle grandi opere, quella presentata da Berlusconi in televisione da Vespa, ha di fatto deresponsabilizzato le aziende con il gioco del subappalto. Il meccanismo è questo: il general contractor si aggiudica l'appalto di "infrastrutture strategiche" come soggetto unico. Poi subappalta parte dei lavori ad altre ditte, che a loro volta subappaltano ad altre, e così via fino ad arrivare a casi di sei o sette subappaltanti. Diventa estremamente difficile controllare le singole responsabilità di tutta questa catena».
Secondo il sindacalista, il legame con la "legge Obbiettivo" è evidente: «Il fenomeno del caporalato nell'edilizia in Lombardia è relativamente recente. Circa sei anni fa, nell'ambito delle grandi opere, nei cantieri dell'Alta velocità e il Polo fieristico, sono emersi i primi casi significativi. Fin da subito abbiamo avuto la sensazione che i casi scoperti rappresentassero la classica punta dell'iceberg di un fenomeno endemico». Con il gioco del subappalto, oltre alle paghe, si abbassano le condizioni di lavoro e sicurezza. «È chiaro che ad ogni passaggio di subappalto, il margine di guadagno lo si trova solo se si riducono illegalmente i costi del personale e della sicurezza» spiega De Alessandri. Se gli invisibili si infortunano in cantiere, non vanno in ospedale. Per due motivi: il primo è che il caporale non gli darà mai più lavoro, il secondo è che essendoci molte probabilità di non essere in regola con i permessi, il medico ha l'obbligo di denunciarlo e quindi lo aspetta l'espulsione.
De Alessandri evidenzia anche un terzo motivo: la destrutturazione del settore edile. «Una volta gli impresari avevano un'alta considerazione della loro forza lavoro. Il benessere e la tutela dei suoi operai erano una priorità per l'azienda. Queste imprese sono sparite. Oggi abbiamo una media di 4,7 operai per impresa. Ciò corrisponde ad una polverizzazione del settore edile in microimprese. Oggi conta solo il profitto immediato, degli uomini non gli interessa più nulla». De Alessandri spiega come il sindacato abbia cercato di reagire al nuovo fenomeno: « all'inizio abbiamo avviato alcune vertenze giudiziarie. In un caso siamo riusciti a far arrestare un caporale, colto in flagrante mentre faceva la cresta su paghe da 5 euro l'ora. Ma sono rimasti fatti isolati. Fin da subito come sindacato eravamo confrontati ad un dilemma drammatico. Con la legge Bossi-Fini, il lavoratore sfruttato diventa doppiamente vittima perché per lui, in caso di denuncia, scatta l'espulsione. Il problema non era dunque solo sindacale, ma di ordine sociale, politico e legale. C'è una relazione diretta fra il caporalato e la malavita organizzata presente sul territorio. Oltre alle vertenze sindacali, abbiamo dunque cercato di rendere pubbliche le conseguenze di questa piaga. Insieme ad alcune forze sociali attive sul terreno della legalità e la trasparenza, come Libera (movimento impegnato contro tutte le mafie, ndr.) di cui Don Ciotti è presidente e Arci Lombardia, abbiamo organizzato una carovana che attraversasse le città lombarde per far emergere il problema del caporalato e la schiavitù, perché diventasse oggetto di discussione nella società civile».
I risultati ottenuti? «È stata una campagna molto importante, ma dal punto di vista dei risultati oggi devo, amaramente, prendere atto che quando c'è stato il morto, l'interesse c'era. Finito il caso eclatante, tutto è rientrato nella « normalità».  Quale consiglio si sente di dare ai colleghi svizzeri alle prese con questo nuovo fenomeno ?
«Fin da subito coinvolgere tutte le parti nella ricerca di una soluzione che permetta di stroncare sul nascere questa piaga. Altrimenti, a perderci saranno tutti: i lavoratori, le imprese, lo stato, la società intera».


Un pericolo anche per il Ticino

Dumping salariale nella costruzione dell'inceneritore di Giubiasco, gessatori provenienti da Milano trattati al limite dello schiavismo e alloggiati in un cantiere nella periferia luganese, un richiedente l'asilo che, in preda al panico, fugge rischiando la vita perché lavora senza i permessi  in un cantiere di Ruvigliana per conto di una ditta bellinzonese di posa piastrelle. Fatti accaduti nell'arco di pochi mesi che fanno temere a sindacati e padronato di essere in presenza di una piaga che si sta rapidamente diffondendo nei cantieri ticinesi. Tutti concordano sulla necessità di intervenire rapidamente per stroncare sul nascere questa piaga.
Il rischio che il lavoro nero diventi un fenomeno generalizzato è alto. Ne è un esempio la vicina Lombardia (si veda articolo centrale). In pochi anni, nel settore edile lombardo, si è passati da fatti isolati a una pandemia. Oggi quasi la metà dei 160mila lavoratori impiegati nell'edilizia nella provincia di Milano sono irregolari. Chi riceve la paga tutta in nero, chi la riceve in grigio. Per grigio si intende che una parte delle ore viene retribuita con la busta paga ordinaria, mentre la parte restante viene versata in nero. Oltre alle gravi ripercussioni economiche per lavoratori e fisco, la sicurezza e la qualità delle opere, vi è l'aspetto più ignobile dello sfruttamento degli esseri umani attraverso il fenomeno del caporalato. Il caporale, quasi fosse una sorta di agenzia interinale illegale, procaccia operai a imprese senza scrupoli, trattenendo per sé parte della misera paga destinata al lavoratore. Nella sola Milano sono stimate a cinquemila le persone che quotidianamente devono affidarsi a questi personaggi pur di lavorare per sopravvivere. Milano è a poche decine di chilometri dal confine. Se non si prenderanno i giusti provvedimenti, dicono i sindacati, nulla impedisce di pensare che in poco tempo la realtà dei cantieri ticinesi diventi la stessa di quelli lombardi.
Per capire il fenomeno, ci siamo recati nelle piazze milanesi dei mercati delle braccia e intervistato i responsabili sindacali lombardi. Le cause della piaga sono simili a quelle indicate dai sindacalisti ticinesi: la logica del massimo ribasso attraverso le scatole cinesi dei subappalti, la speculazione di  una massa di persone economicamente disperate e messe fuori gioco da leggi repressive. A pagarne le conseguenze sono anche gli edili regolari, che rischiano di vedersi sparire i diritti faticosamente conquistati negli anni.


Il commento

Il lavoro nero è una piaga. Ma non per tutti. Per alcuni infatti è un affare. Solo così si spiega perché la metà dei 160 mila edili nei cantieri lombardi sia al nero. È un affare per il caporale quando fa la cresta sulla misera paga del lavoratore, è un affare per il titolare della piccola impresa alla quale hanno affidato il subappalto, è un affare per il maggiore azionista della media-grande impresa che ha vinto l'appalto. Infine, è un buon affare per il committente quando sceglie il minor prezzo ben sapendo cosa nasconda quel massimo ribasso ottenuto. Una filiera di "affaristi" che si arricchisce succhiando il sangue e il sudore degli ultimi anelli della catena. Va da sé che più in alto si è nella scala, più si guadagna.
Questo è il meccanismo economico, perverso, all'origine del lavoro nero. Affinché il meccanismo funzioni al meglio, alcune condizioni devono essere realizzate. Una grande massa di esseri umani privi dei permessi di soggiorno costituisce la materia prima del lavoro nero. Lavoratori talmente ricattabili da essere trasformati in schiavi. E più la massa s'ingrossa, maggiori saranno i profitti.
A questo punto, interviene la politica. Leggi come la Bossi-Fini o la recente introduzione del reato di clandestinità sono parte del meccanismo. I 170 mila permessi di lavoro concessi nel 2008 in Italia a fronte delle 750 mila richieste di regolarizzazione d'immigrati che hanno già un posto di lavoro, sono un altro pezzo del puzzle. Fra chi trae maggiori guadagni dal mercato nero e le politiche che creano enormi masse di clandestini, c'è un nesso.
Non è un segreto che la classe imprenditoriale lombarda parteggi per la Lega Nord o per Forza Italia. E li foraggi anche economicamente.
Che l'impresario brianzolo voti il partito di Umberto Bossi e poi assuma in nero, direttamente o per intermediari, operai marocchini sprovvisti di permesso è ignobile ma comprensibile. Forse inconsapevole, o forse no, votare il partito che gli garantisce un bacino di operai a basso costo è coerente col suo interesse di classe padronale. Forti dubbi invece sono leciti sull'ingenuità dei grandi gruppi edili che traggono i benefici maggiori dal meccanismo del caporalato.
Non è per contro nell'interesse del muratore pagato 18 euro l'ora (secondo quanto prescritto dal contratto collettivo) essere messo in concorrenza con operai a 3 euro l'ora in nero. Nel suo interesse sarebbe meglio rompere quel meccanismo, prosciugando il bacino da cui attingono i caporali per trarre profitto dalla disperazione umana dei senza diritti. Ma rende di più, politicamente ed economicamente, togliere dei diritti a qualcuno che garantirli a tutti. Basta non farlo sapere agli elettori salariati.

Pubblicato il

28.08.2009 02:30
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