Sono in viaggio per Saint-Etienne, la città  industriale della Loire, dove sono stato invitato all'assemblea dell'Associazione degli amici di Benoît Malon: comunardo, scrittore e giornalista che ha lasciato una traccia profonda nella storia del socialismo europeo e che fa la sua comparsa nel mio ultimo libro di narrativa.
I treni francesi sono strapieni e il caso mi fa trovare accanto a una bionda con l'occhio destro arrossato. Mi racconta di sé e, saputo che scrivo, tira subito fuori dalla borsetta un piccolo aggeggio elettronico molto sofisticato e mi mostra una sua opera: parla di un terribile incidente stradale, dove  ha rischiato di morire. Un tema sicuramente stimolante per la scrittura; ma il testo, che la compagna di viaggio ingrandisce miracolosamente con i polpastrelli scorrenti sul piccolo schermo, é privo di valore letterario. Le chiedo quali sono i suoi poeti preferiti e mi confessa che non legge poesie. Questo atteggiamento è frequente e mi sgomenta sempre: il musicista studia la musica, il buon giardiniere distingue il carpino bianco da quello nero e il sorbo montano dal sorbo degli uccellatori; il versificatore, invece, spesso non si dà la pena di leggere i poeti e scrive così come viene: basta andare a capo ogni tanto oppure infilare una rima baciata. Per fortuna la mia bionda non ha intenzione di pubblicare, forse scrive per curarsi le ferite dell'anima: la guardo nella bellezza luminosa dell'iride insidiata dai vasi sanguigni.
A Saint-Etienne, terminata la sparuta assemblea degli amici di Malon - che, tra l'altro, dopo la catastrofe della Comune è stato esule anche in Ticino - visitiamo il Musée de la Mine: una gigantesca armatura metallica si erge nel cielo, sullo sfondo le colline delle scorie, simbolo di un passato minerario tramontato. L'ascensore corre lungo il pozzo e ci cala nel mondo ctonio. Impressionante lo spogliatoio, detto "salle des pendus" (sala degli impiccati): sulle nostre teste pendono indumenti smessi insieme a pezzi di sapone, specchi, piccoli recipienti. Tutto sospeso per aria. Un'installazione di arte povera, lo scenario di un dramma di Kantor?
Il pensiero va alle fatiche dei minatori, al grisù e agli scoscendimenti che minacciavano la vita di quei corpi seminudi, luccicanti di sudore nel nero del carbone. E va anche all'analogia tra il minatore e il poeta - quello dall'occhio limpido: anche questi sprofonda nei cunicoli dell'esperienza, della memoria, del pensiero, per illuminare e portare alla superficie qualche "storta sillaba". Il paragone è irriverente, perché il poeta non rischia la vita, rischia solo il fallimento: ha lasciato gli indumenti appesi a un gancio e, se la sua lampada non fa luce, si sente inutile. Inutilmente nudo.

Pubblicato il 

21.10.11

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