È un socialista, ma ha una bella moglie. La battuta, che credo risalga ai tempi del governo Craxi, quando il socialismo italiano soffriva di qualche ostilità pubblica, è vecchia ma efficace. Perché questa battuta? Perché, da quando il Ps ha spostato il suo baricentro dal Mendrisiotto al Luganese, la presenza femminile a convegni et sim. è migliorata per numero e qualità. Detto questo, che è pura osservazione di cronaca, la Conferenza di sabato su "Identità e ruolo dei socialisti" nel Cantone mi è piaciuta. Buoni perlopiù gli interventi. (Scrivo a caldo, e quindi rivendico uno speciale diritto alla genericità). Certo non è facile fare una sintesi adeguata e strumentalmente utile dell'incontro; né invidio chi la dovrà fare. Nella Conferenza sono state dette molte cose. Dai lavori è uscito un partito vivo e ricco anche di contraddizioni (e meno male). Un partito che si vorrebbe ubiquo: presente in cielo come in terra: che è facoltà dei Santi più che degli uomini. Bisogna stare in piazza, ha detto qualcuno, a contatto con la gente, ma anche dentro le istituzioni a fare il cane da guardia allo stato di diritto. Dobbiamo combattere perché «il mondo sia per tutti e non per pochi», come lo vorrebbe il sistema finanziario internazionale. Il Ps è un partito che ha (deve avere) una sua fierezza, come ha sostenuto la Patty, «anche se è un po' triste», ha asserito la compagna Micheli. Pessimista? Chiuso in se stesso? Guai! ha sembrato dire la consigliera di Stato, e se lo dice lei, con rispetto parlando. Io credo che si debbano ridimensionare le attese. Non possiamo continuare a sentirci "costretti a salvare il mondo" (sic!). È una mission impossible che conduce solo a un profondo senso di frustrazione. Io credo che si debba – dobbiamo – imparare a ridere. Anche se a volte costa. Ridere "contro" più che ridere "di". Dobbiamo continuare a recitare con pervicacia il credo gramsciano dell'ottimismo della volontà, costi quel che costi e malgrado più di un compagno vi abbia consumato, oltre che la speranza, anche la vita. Occorre tornare a credere nel futuro anche quando sia poco affidabile, come l'attuale. Un partito non è solo elezioni e sconfitte. Bisogna credere: bisogna crederci. E soprattutto bisogna radicarsi nel territorio (ma non troppo, per favore. Avete controllato quanto si può crescere in altezza prima di mettere radici? La battuta non è mia.). Bisogna andare avanti anche quando sembra di camminare su un treno in corsa. Proseguire con energia rinnovata verso l'avvenire. E con orgoglio. «Credere all'idea di progresso» ha detto un delegato. (Chi ha scritto che la fede nel progresso è una dottrina per fannulloni?). Occorre «umilmente chinarsi sulle strategie». ha concluso un altro delegato. Anche quando ci pare, come ha affermato Manuele Bertoli, «che i diritti politici uccidono quelli sociali». In fondo la vita è apparenza e normale disorientamento. Con il quale siamo confrontati. Da sempre. È il caso di lasciarci la testa? «La Rivoluzione francese ha dimostrato che restano sconfitti [solo] coloro che perdono la testa», ha scritto Stanislaw Lec.
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