Adesso nei cori e negli striscioni che accompagnano i cortei dei lavoratori in sciopero il ministro dei trasporti ha cambiato nome, da Matteo Salvini a “Precetto La Qualunque”, una felice satira che prende in prestito il personaggio interpretato da Antonio Albanese (“Cetto La Qualunque”, appunto) e gli sovrappone il volto del segretario leghista. Salvini, che si candida a diventare il nemico numero 1 dei sindacati e killer dei diritti del lavoro, ha di nuovo imboccato la strada della precettazione per ridurre l’impatto dello sciopero generale del 29 novembre indetto da CGIL e UIL (e alcuni sindacati di base). Incurante del fatto che i promotori hanno rispettato le norme che regolano i conflitti – garantendo le fasce protette nei servizi pubblici ed escludendo dallo sciopero i lavoratori delle ferrovie in seguito a un’altra interruzione del lavoro promossa meno di 10 giorni prima da altre sigle sindacali – Salvini ha deciso la precettazione nel trasporto locale e aereo, riducendo da 8 a 4 ore l’astensione dal lavoro dei dipendenti. Naturalmente in nome dei diritti degli utenti. A suggerire la precettazione era intervenuta la Garante degli scioperi, nominata dal governo e dunque subalterna ai furori antioperai del ministro. CGIL e UIL hanno annunciato l’immediato ricorso al TAR contro la decisione e restano in attesa della risposta, con la consapevolezza che ha tempi troppo lunghi e nel frattempo bisognerà ingoiare il rospo salviniano, salvo costringere i singoli lavoratori a pagare le multe in caso di mancato adeguamento. Lo sciopero generale che sarà sostenuto da manifestazioni in tutte le regioni italiane è la logica risposta sindacale alla manovra economica del governo che colpisce il reddito già miserabile dei lavoratori dipendenti, precari, donne, giovani e pensionati e aumenta le diseguaglianze. Inoltre, riduce gli investimenti (al 6% del PIL) nella disastrata sanità pubblica per agevolare quella privata e penalizza l’istruzione pubblica, anche in questo caso a tutto vantaggio di quella privata. Aumenta invece la spesa militare in ossequio ai diktat degli USA, della NATO e dell’Unione europea. L’Italia è l’unico paese dell’UE e dell’OCSE in cui i salari sono diminuiti di anno in anno ed è tra i pochi a non avere una legge sul salario minimo, al punto che Roma sarà penalizzata economicamente dall’Unione europea per il mancato rispetto della direttiva che lo impone. Alla decisione dello sciopero generale CGIL e UIL sono addivenute anche per il modo autoritario in cui la manovra economica è stata imposta da Giorgia Meloni: i sindacati sono stati convocati dal governo solo quando il testo era già stato depositato in Parlamento, per giunta con la precisazione della premier che non ci sarebbe stato spazio – cioè soldi – per modifiche sostanziali. Le affermazioni di Meloni, secondo cui sarebbe stato tagliato il cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, sono false, perché quelle riduzioni erano già state strappate da CGIL e UIL con uno sciopero generale durante il governo Draghi. E a ridurre ulteriormente il potere d’acquisto dei salari si aggiunge il mancato rinnovo dei contratti pubblici: il governo mette sul piatto aumenti del 6-7% contro un’inflazione che nel triennio assomma al 17%. Al posto del reddito di cittadinanza, cancellato con uno dei primi atti del governo di destra-destra, solo qualche mancia alle figure sociali più fragili che in cambio di pochi centesimi al giorno saranno costrette a pagarsi una quota sempre crescente delle prestazioni mediche. Oppure a rinunciare a cure e interventi operatori come purtroppo sta già avvenendo. Al centro della protesta sindacale la richiesta di una radicale riforma fiscale che faccia pagare le tasse, finalmente, ai più ricchi, alle società che accumulano superprofitti e non, ancora una volta, ai soli lavoratori dipendenti e ai pensionati. Ancora una volta va registrata la mancata adesione allo sciopero generale della CISL, impegnata a difendere la sciagurata politica economica del governo. Una grande manifestazione in difesa della democrazia L’attacco al diritto di sciopero fa parte di una politica securitaria che punta a ridurre l’insieme dei diritti sociali, civili e umanitari. Previste nuove multe e galera per le lotte sindacali che si avvalgano dei picchetti davanti alle fabbriche o dei blocchi stradali e ferroviari durante le proteste operaie. Forme di lotta, queste, grazie alle quali sono state salvate decine di migliaia di posti di lavoro. Ma anche nuove leggi o aggravi di quelle esistenti che vanno a colpire i rave, le lotte ambientaliste, quelle studentesche, che bloccano le navi delle ONG che soccorrono i migranti. Si vuole azzerare il conflitto sociale con politiche autoritarie che nulla hanno da invidiare a quelle del secolo scorso targate Cossiga. Decine di associazioni stanno lavorando alla costruzione di una grande manifestazione nazionale a dicembre in difesa della democrazia a cui partecipano anche la CGIL, la FIOM, l’ARCI, l’ANPI e non è esclusa la presenza di alcuni partiti all’opposizione del governo Meloni. Sempre che riescano a mettere il naso fuori dalle porte delle loro rissose case: il PD, intento a far digerire alla sua gente il sostegno all’allargamento a destra dell’Unione europea (e l’aumento del finanziamento ai partiti bloccato in zona Cesarini da un importante intervento del presidente Mattarella), il M5S di Conte, intento ad abbattere i missili lanciati dall’“elevato” Grillo sul progetto di rifondazione democratica del movimento. Come hanno dimostrato le ultime elezioni regionali in Emilia Romagna e Umbria, quando le opposizioni si uniscono possono battere le destre, divise a Roma come a Bruxelles ma tenute insieme al governo grazie ai conflitti interni al centrosinistra. Conflitti su questioni centrali, a partire dalle guerre in Ucraina e in Medioriente. Le battaglie sindacali e il nuovo protagonismo dei soggetti sociali offrono una sponda importante al centrosinistra, vedremo se vorrà e sarà in grado di raccoglierla. |