La crisi Fiat ha varcato i confini. La Key Plastics Switzerland di Novazzano, già Foggini Sa (Suisse), azienda del Gruppo Foggini di Beinasco (Torino), specializzata in componenti plastiche per automobili quali diffusori aria, posa-cenere, leve cambio, maniglie, plance e consoles, è in difficoltà, tanto che si sta valutando la possibilità di una chiusura. Sono 98 i dipendenti – quasi tutte donne e pendolari che vivono nella fascia di confine varesina – che potrebbero perdere il posto di lavoro.
Riguardo ad una possibile chiusura, per ora non esiste nessuna decisione ufficiale ma i lavoratori sono già stati informati che «a causa dell’attuale profonda crisi del settore dell’auto e per arginare le perdite», la società che fa capo alla multinazionale americana Key Automotive, dovrà procedere a una ristrutturazione aziendale. Il gruppo multinazionale americano, secondo un comunicato diffuso dalla direzione svizzera, «sta considerando il trasferimento di tutte le attività dell’azienda di Novazzano negli stabilimenti Key Plastics europei già esistenti e direttamente presenti nelle vicinanze dei principali costruttori d’automobili».
Fra i principali clienti dell’azienda vi sono la Ford e la Fiat. «Ma non è solo per la crisi Fiat che ci vediamo costretti a ventilare l’ipotesi di chiusura dello stabilimento – ci dichiara il direttore Angelo De Taddeo –, è tutto il settore dell’auto che è profondamente in crisi».
Negli scorsi giorni, l’azienda ticinese ha convocato i dipendenti e avviato la procedura di consultazione prevista dalla Legge. La stessa prevede l’informazione all’Ufficio cantonale del lavoro e ai sindacati per costituire una cellula di crisi che sarà coordinata dal centro servizi «Actor - risorse umane» dell’Aiti (Associazione industrie ticinesi) per prendere in esame delle possibilità di ricollocamento del personale nell’eventualità – praticamente certa – dell’interruzione dell’attività aziendale.
Il sindacato di categoria, Flmo (Federazione dei lavoratori della meccanica e dell’orologeria), ha dovuto semplicemente prendere atto della decisione dei vertici aziendali. «Non ci sono margini di manovra – ci dice Rolando Lepori, segretario cantonale della Flmo – anche perché il centro decisionale non è in Svizzera e nemmeno in Italia, a Beinasco, come si potrebbe credere. Il cervello è a Dallas, in Texas». Ed è proprio negli Usa che bisogna andare per sbrogliare il bandolo della matassa.
La Key Plastics Switzerland, infatti, fa parte di una multinazionale americana, la Key Automotive (la stessa che controlla la Magneti Marelli n.d.r.), che è stata salvata lo scorso anno dal famoso Chapter 11 della legge fallimentare statunitense dalla Carlyle management group. Quest’ultimo è un colosso finanziario con partecipazioni azionarie in industrie di mezzo mondo. Si capisce benissimo che la sede ticinese è solo un fastidioso foruncolo di cui vuole a tutti costi liberarsi. «Ed è anche per questo motivo – continua Lepori – che non ci sono speranze di salvataggio. I dirigenti americani hanno un’idea tutta propria delle relazioni sindacali: mettono il danaro sul tavolo per il piano sociale, anzi vanno oltre il minimo legale e si offrono di raccomandare i propri dipendenti ad altre aziende». In una parola, almeno fuori dai confini patri, rispettano rigorosamente le leggi.
La procedura di licenziamento sarà graduale e avrà termine il prossimo 30 giugno al ritmo di una diecina il mese. Paradossalmente, in questi giorni, lo stabilimento di confine lavora a pieno regime 24 ore su 24: ci sono le commesse in portafoglio da evadere in tutta fretta. «Gli americani – aggiunge il sindacalista – nel loro eccessivo pragmatismo lasciano la porta aperta. Se nel frattempo la situazione del mercato dovesse migliorare “drasticamente” e si riuscisse a trovare un acquirente per la filiale svizzera, per i lavoratori si rimetterebbe tutto in discussione. Sono comunque vane speranze».
Oltre all’amarezza per la perdita di un altro centinaio di posti di lavoro, rimane il rimpianto per una piazza industriale, quella ticinese, già piccola di per sé che si riduce sempre più con uno stillicidio continuo d’impieghi finché un giorno non scomparirà completamente.
In un’intervista, il direttore dell’associazione degli industriali ticinesi, Sandro Lombardi, dichiarò che se l’industria ticinese sparisse domani, oltre ovviamente agli imprenditori e agli operai coinvolti non se n’accorgerebbe nessuno. Il motivo è lampante: la quasi totalità della manodopera è frontaliera e vive nella fascia di confine delle province di Como e Varese. La Svizzera esporterebbe semplicemente disoccupazione e disagio sociale dall’altra parte del confine. |