Il portaledi critica socialee del lavoro
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La donna che denuncia pubblicamente di aver subito molestie sessuali a molti anni di distanza dai fatti è oggetto di un linciaggio mediatico, viene accusata di essersi comprata la carriera e insultata. Il lavoratore che va dal magistrato per denunciare i soprusi e i reati subiti dal suo datore di lavoro, consentendo così l’apertura di un'inchiesta penale, viene fatto passare per un trafugatore d'informazioni e perde il posto di lavoro. Sono storie diverse ma per certi versi simili quella della regista Asia Argento che tiene banco in Italia e quella dell’ex dipendente dell'agenzia di sicurezza Argo 1 (la società beneficiaria di un mandato pubblico diretto alquanto dubbio e sotto inchiesta per gravi reati come usura e truffa), finito suo malgrado al centro della cronaca di queste ultime settimane in Ticino. Entrambi sono vittime di un giornalismo spregiudicato e irrispettoso dei diritti e della dignità delle persone. Un giornalismo che in Italia è tipico di testate squallide come “Il Giornale” o “Libero” e che da noi sembra aver contagiato persino il prestigioso e tradizionalmente compassato Corriere del Ticino. Sarà per la “vicinanza” a questo modo di fare informazione dell’amministratore delegato, di scuola “Il Giornale”, Marcello Foa?
L’articolo «La sicurezza e gli infiltrati targati Unia» sul caso Argo 1 pubblicato mercoledì 18 ottobre dal Corriere del Ticino (Cdt) ha suscitato clamore non per le “rivelazioni” contenute, ma per le critiche alle violazioni al codice deontologico dei giornalisti. Due le obiezioni principali: la pubblicazione in prima pagina del nome di uno dei numerosi ex agenti che hanno semplicemente testimoniato in Procura gli abusi di cui erano vittime sul posto di lavoro alla Argo 1 e, in secondo luogo, avere definito i testimoni degli “infiltrati” di Unia, insinuando la tesi di un piano diabolico del sindacato nello scandalo Argo. area ha intervistato Fabio Pontiggia, direttore del Corriere del Ticino, sulle scelte editoriali che hanno spinto la testata a pubblicare quell’articolo.
Quante volte mi è capitato? Migliaia. Mi torna in mente una battutaccia via email alla mia migliore amica. Ero alle prese con un funzionario del fisco che si accaniva su dettagli irrilevanti: “lo ammazzo!”, scherzavo. Mi sovvengo della corrispondenza con uno studente di giornalismo, in cui pontificavo sul mediocre lavoro dei media sul “terrorismo di matrice islamica”. Con mia suocera ci scriviamo in tedesco, insisteva che dovevo procurarle dei “Wassermelonen”.
Per il miliardario svizzero ed ex padrone dell'Eternit Stephan Schmidheiny si avvicina un ennesimo importante appuntamento con la giustizia (quella italiana naturalmente, essendo l'unica a occuparsi seriamente della tragedia dell'amianto...): il 13 dicembre prossimo a Roma la Corte Suprema di Cassazione deciderà sulle sorti del cosiddetto processo “Eternit bis” che lo vede imputato per la morte di 258 persone, uccise dall'amianto disperso negli ambienti di lavoro e di vita attraverso gli stabilimenti italiani dell'Eternit, sotto il suo controllo diretto tra la metà degli anni Settanta e il 1986.
I miti elvetici, come ogni fatto idealizzato, portano con sé verità di fondo, che però rischiano di negare la realtà. “Ma in Svizzera stiamo tutti bene! È un paese ricco!”, quante volte abbiamo sentito queste affermazioni che ci facevano credere di vivere nel paese del bengodi. Eppure, non sembrerebbe essere precisamene così: uno studio sociale analizza il fenomeno della povertà che è in crescita nel nostro cantone: in uno spaccato che non emerge da statistiche incomplete e parziali.
Quando avrete sotto mano questo numero di area, a meno di sorprese, i giochi saranno fatti, anche se la partita fra Spagna e Catalogna non sarà finita e tutto lascia credere che durerà ancora a lungo con un gioco sempre più sporco.
Sindacato Unia
Claudio Carrer
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