Il portaledi critica socialee del lavoro
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Sembra proprio che l’Udc non ci tenga particolarmente a far eleggere un secondo consigliere federale e che il Ticino dovrà ancora attendere (e ciò è una previsione ma soprattutto un auspicio) per tornare a essere rappresentato nel governo di Berna. Il gruppo parlamentare democentrista deciderà solo oggi i nomi da sottoporre all’Assemblea federale il 9 dicembre, ma stando alle raccomandazioni formulate lunedì dai vertici del partito non si possono che trarre queste conclusioni.
L’ipotesi di presentare un ticket a tre con un candidato per ogni regione linguistica ci sembra solo un’operazione di facciata e di pura propaganda, perché è chiaro a tutti che se il successore di Eveline Widmer-Schlumpf sarà un esponente del partito di Toni Brunner questo sarà uno svizzero-tedesco.
La Romandia esprime già due consiglieri federali e l’entrata di un terzo sarebbe inconciliabile con il principio costituzionale secondo cui “Le diverse regioni e le componenti linguistiche del Paese devono essere equamente rappresentate” (articolo 175 capoverso 4 della Costituzione federale): le eventuali candidature di Oskar Freysinger e di Guy Parmelin, oltre che non essere le più indicate per ottenere una maggioranza dall’Assemblea federale (l’organo che elegge, sempre secondo la Costituzione, i membri del Governo, piaccia o non piaccia all’Udc), sarebbero solo una farsa.
È guerra? Questo termine viene ormai utilizzato da tutti in Francia, dal presidente Hollande al primo ministro Valls, dalla destra all’estrema destra. Anche la sinistra del Ps lo ha adottato quasi all’unanimità e molti della “fronda” contro le derive liberiste del governo voteranno a favore dell’estensione dello stato di emergenza per tre mesi. La sinistra della sinistra, i Verdi, non sembrano più in grado di farsi ascoltare nell’appello a rispettare lo stato di diritto nonostante le circostanze. Peggio, la tattica politica prende a tratti il sopravvento, a poche settimane dalle elezioni regionali del 6 e 13 dicembre, che sono state confermate da Hollande all’indomani del massacro del 13 novembre.
Le nuove tecnologie cambiano il mondo del lavoro. È successo con la prima rivoluzione industriale; è successo con l’automazione; sta succedendo con l’informatica e la digitalizzazione. La robotica predomina ormai nell’assemblaggio industriale, ma anche in molti servizi, persino nelle cure e nell’assistenza medica. Le trasformazioni attuali sono sotto gli occhi di tutti, ma non sempre ci si accorge di come e quanto profondamente possano incidere nella vita di ciascuno di noi e dei lavoratori in particolare.
Prendiamo, per esempio, il commercio al dettaglio. Le casse self-service consentono alla clientela di scansionare personalmente i prodotti e poi procedere alla transazione di pagamento. L’operazione può avvenire in due differenti modi: con il “self-scanning” il cliente, quando prende dagli scaffali gli articoli che vuole acquistare, li scansiona personalmente con un lettore mobile e poi paga ad un’apposita cassa; con il “self-checkout” il cliente scansiona gli articoli acquistati servendosi della cassa automatica all’uscita dal punto vendita.
Le politiche neoliberiste sono applicate sistematicamente anche alle Organizzazioni non governative (Ong) attive nella cooperazione internazionale. Un bene? Un male? Diciamo che si tratta di un tipo di politica economica promossa dall’Occidente – in primis la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale – utilizzato da decenni come un mantra nei paesi beneficiari di aiuti e finanziamenti per lo sviluppo. Per questo motivo il modello, come denunciano alcuni ricercatori internazionali, non potrà mai, se la modalità resta questa, permettere alle Ong locali, che conoscono i bisogni dei loro paesi, di autodeterminarsi... Detto in altre parole, l’azione di egemonia neoliberista adottata come un Vangelo limita e condiziona, invece di favorire, la riuscita delle politiche di sviluppo.
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