Il portaledi critica socialee del lavoro
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Un sindacato per far cosa?”, domanda un direttore a un suo impiegato, assicurandogli tuttavia, mentre lo spinge fuori dalla porta del suo ufficio: “Per qualsiasi problema io sono qui”. È solo il testo di una vignetta pubblicata tempo fa da area, ma che esprime una grande verità: dove non c'è Sindacato, nel senso più alto del termine, il lavoratore è praticamente fottuto, oggi ancora peggio di ieri.
Una verità di cui sono sicuramente consapevoli le lavoratrici e i lavoratori della Exten di Mendrisio, quelli della SMB di Biasca, così come quelli della Crai Suisse di Riazzino, che in questo 2015 hanno trovato la forza e il coraggio di ricorrere allo sciopero per difendere la loro dignità di salariati e per opporsi a dei padroni che avevano la pretesa di trattarli come se fossero degli stracci usa e getta o dei limoni da spremere, sacrificabili sull’altare del profitto. E lo stesso discorso si potrebbe fare anche per gli edili che si preparano a un autunno di lotta per ottenere maggiori tutele e per non farsi strappare dalle mani la più importante conquista sindacale degli ultimi decenni: il prepensionamento a 60 anni, un diritto irrinunciabile soprattutto per chi svolge un lavoro usurante come il loro.
Concorrenza sleale nei confronti dei tassisti, violazioni delle norme sul trasporto delle persone e della legislazione svizzera sul lavoro, in particolare per quanto riguarda il rispetto dei tempi di riposo degli autisti, ma anche una minaccia per la sicurezza dei passeggeri. Sono le principali ragioni che hanno spinto i tassisti di Basilea e di Zurigo, con il sostegno del sindacato Unia, a inscenare settimana scorsa una manifestazione di protesta davanti alla stazione principale della città sul Reno contro Uber, la multinazionale californiana che fornisce un servizio di trasporto automobilistico privato e a buon mercato (ma non sempre) attraverso un’applicazione per telefoni mobili che mette in contatto diretto gli autisti con i potenziali utenti, così come a chiederne la messa al bando attraverso una petizione indirizzata al governo e al parlamento cantonali.
Si è concluso con la revoca dei licenziamenti lo sciopero dei dipendenti Crai Suisse Sa e Cmarket che, con il sostegno di Unia, hanno incrociato le braccia con determinazione martedì e mercoledì. C’eravamo anche noi, per cogliere lo spirito combattivo che a volte porta i suoi frutti...
Una ventina i dipendenti di Crai Suisse Sa e della sottoditta Cmarket che tra martedì e mercoledì hanno incrociato le braccia, con il sostegno di Unia, per contestare i licenziamenti nella distribuzione, nell’amministrazione e nei negozi. La scorsa settimana infatti quattro impiegati della logistica e tre dell’amministrazione hanno ricevuto la disdetta del contratto di lavoro. A questi si aggiungono altre persone già licenziate durante l’estate e quelle lasciate a casa a causa della chiusura di alcuni negozi, per un totale complessivo di oltre quindici licenziamenti, e questo dopo mesi di sacrifici. Un’azione che ha portato i suoi frutti, premiando la determinazione dei lavoratori a non cedere.
È nata dalla passione civica di un pugno di giornalisti e giornaliste d’inchiesta e di informatici della Svizzera tedesca. E sta crescendo a passi da gigante. Lobbywatch.ch, la “piattaforma per una politica trasparente”, ha appena compiuto un anno e può già vantare risultati impressionanti. Il progetto senza scopo di lucro, consultabile su Internet in francese e in tedesco, procede in maniera sistematica alla mappatura dei potenziali conflitti di interesse che popolano il Parlamento federale svizzero.
Inoltri domanda per assegni familiari e ricevi l’ammonimento, se non l’espulsione. Nessuna lotta agli abusi, ma il frutto della nuova interpretazione da parte dell’autorità cantonale della politica familiare che parifica gli assegni integrativi e di prima infanzia all’assistenza pubblica. Colpite le famiglie domiciliate o residenti (in un caso anche a tre quarti svizzera), in un cantone dove un cittadino su tre è straniero.
«Indignazione tanta, nessuno stupore» per il bombardamento “chirurgico” Nato dell’ospedale dei Medici senza frontiere a Kunduz, in Afghanistan, che ha provocato la morte di medici, personale sanitario e malati. «Niente di nuovo dall’Afghanistan, sono anni che si ripetono stragi come questa e sono anni che ripeto le stesse cose». Raggiungiamo telefonicamente il fondatore di Emergency Gino Strada in uno dei suoi sempre più brevi soggiorni in Italia, una decina di giorni a Milano prima di ripartire per il Sudan, dove c’è uno dei tanti presidi della sua benemerita organizzazione nel mondo in guerra.
Sindacato Unia
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