Il portaledi critica socialee del lavoro
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Espulsione di massa dei migranti: siete domiciliati qui e avete perso il lavoro? Sì, siete disoccupati, ma andate a richiedere le indennità al vostro paese. Alla Svizzera, paladina dei diritti umanitari, la parola espulsione piace assai, sembra averla scritta nel Dna. Il Ticino poi ne fa una malattia, non solo muri, dogane chiuse, ma anche espulsioni.Detta a secco: non basta più avere lavorato in questo paese per anni, avere contribuito alla sua economia, avere pagato l’assicurazione contro la disoccupazione ogni mese e neppure possedere il domicilio. No, signori, queste sono quisquilie. Dovete possedere la residenza effettiva, mica il domicilio, per rivendicare il diritto alla disoccupazione. E che è la residenza effettiva? Quella che coincide con il vostro centro d’interessi.Boh. Non preoccupatevi, il servizio giuridico della Sezione del lavoro vi convocherà per un’audizione al fine di verificare appunto il vostro centro d’interessi, ovvero dove sta veramente di casa il vostro mondo.
Da qualche mese, la sezione del lavoro del Canton Ticino ha modificato la sua prassi sulle richieste d’indennità disoccupazione inoltrate da cittadini con permessi B o L. Una prassi molto restrittiva il cui risultato è che a molte persone viene negato il diritto all’indennità. La conseguenza è rendere ancor più fragile l’intero mercato del lavoro, poiché pone i lavoratori in una situazione estremamente ricattabile davanti al datore di lavoro.Cancellando il diritto ipotetico alla disoccupazione, la minaccia del licenziamento diventa ancor più pesante nel caso di conflitto sui posti di lavoro.
Sono arrivati gli zingari: la carovana degli jenisch è giunta in Ticino lo scorso 15 giugno. E noi siamo andati a incontrare i nomadi nel campo che il comune di Giubiasco mette loro a disposizione da anni senza avere mai registrato problemi. Non hanno voglia di parlare con la stampa: «Siamo svizzeri, paghiamo le tasse, ma non siamo davvero accettati. A che cosa serve raccontarvi la nostra storia? Basta andare in internet e si trovano tutte le informazioni». Come quelle che si riferiscono al programma criminale perpetuato in Svizzera dal 1926 al 1973 contro gli jenisch, le cui donne furono sterilizzate e i bambini sottratti alle famiglie.
Il 20 giugno 2015 l’assemblea dei delegati del sindacato Unia ha eletto alla presidenza Vania Alleva, finora co-presidente con il ticinese Renzo Ambrosetti che lascia dopo quasi quarant’anni di carriera sindacale. Un’occasione per incontrarlo.
«Cancellate quella collaborazione» è l’appello indirizzato alla direzione del Festival del cinema di Locarno, sottoscritto da oltre duecento professionisti dell’industria cinematografica svizzera e internazionale, tra cui Ken Loach, Jean-Luc Godard o Fernand Melgar. La collaborazione a cui si fa riferimento è con l’Israel Film Fund, istituzione legata a doppio filo col governo israeliano. Quest’anno la sezione Carte Blanche della rassegna locarnese è dedicata alla presentazione di cineasti israeliani in cerca di fondi per completare le proprie opere. La Fondazione del cinema israeliano ha raccolto le proposte e paga le spese di viaggio e albergo ai cineasti selezionati. Da 10 anni è in corso una campagna di boicottaggio internazionale contro le collaborazioni con istituzioni governative israeliane.
L’immagine della guerrigliera curda con il fucile in spalla è diventata un’icona anche in occidente. Alla loro determinazione è stata attribuita la sconfitta dei terroristi dell’Isis, cacciati da Kobane lo scorso gennaio, dopo 116 giorni di assedio.La comandante Nessrin Abdalla sfugge alle lusinghe, nelle ultime ore i terroristi sono rientrati a Kobane con l’aiuto della Turchia e hanno fatto nuove decine di vittime, soprattutto tra i civili. «Ma noi resisteremo e li cacceremo anche questa volta», afferma la comandante. E infatti i terroristi sono stati cacciati, dopo due giorni di scontri. Kobane è libera e la resistenza continua.
Nella notte del 26 giugno, dopo sei mesi di discussioni e più o meno velati ricatti, Alexis Tsipras ha scelto di cambiare interlocutore. Invece che a Renzi, Merkel o Hollande, il primo ministro greco ha deciso di rivolgersi al suo popolo, riconoscendo così che le decisioni fondamentali si prendono nelle urne e non nelle stanze dei bottoni. Non sta infatti ad un ministro, né tantomeno a governi stranieri o a dirigenti delle istituzioni finanziarie decidere se sia legittimo sacrificare, sull’altare del grande capitale europeo, pensioni, potere d’acquisto e ciò che resta dello stato sociale della Grecia. Sull’ultimatum del Fondo monetario internazionale (Fmi), i cittadini e le cittadine greche dovrebbero quindi pronunciarsi domenica.
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