anno XIX, n° 17 - 11 novembre 2016

L'editoriale
09.11.2016

di 

Claudio Carrer

All’indomani della catastrofe nucleare di Fukushima in Giappone del 2011, la Svizzera è stata uno dei primi paesi a reagire imboccando la strada dell’abbandono graduale, in particolare con la decisione del Consiglio federale di bloccare la costruzione di tre nuovi reattori pianificati e di fissare un calendario di chiusura delle centrali attive entro il 2034. Decisione dettata da ragioni di sicurezza e di economicità e annunciata, ironia della sorte, dalla ministra dell’energia Doris Leuthard che la potente lobby nucleare aveva a tutti i costi voluto alla testa del dipartimento occupato fino a pochi mesi prima da un nemico dichiarato come Moritz Leuenberger. La svolta della ministra (di Argovia, il Cantone più nuclearizzato della Svizzera, con tre reattori e il deposito intermedio per scorie radioattive), del governo e di molti politici borghesi è stata per certi versi clamorosa, perché fino al giorno prima preconizzavano ancora la costruzione di nuove centrali, ormai certi che il movimento anti-nucleare elvetico dei decenni precedenti si fosse definitivamente spento.
Evidentemente la catastrofe giapponese (che tra l’altro ha interessato un impianto dello stesso tipo e della stessa generazione di quello bernese di Mühleberg) e l’impatto che questa ha avuto sull’opinione pubblica li hanno spinti ad assumere una posizione più ragionevole. Una ragione che oggi, a sei anni di distanza, pare però essere sulla via dello smarrimento visti gli argomenti con cui la stessa Leuthard e i suoi alleati combattono l’iniziativa “Per un abbandono pianificato” in votazione il prossimo 27 novembre.

Articoli

Il caso
09.11.2016

di 

Francesco Bonsaver

Immaginate di essere svegliati all’alba da una perquisizione e un interrogatorio nell’intimità di casa vostra. Rassicuratevi, nessun magistrato ha firmato un mandato perché siete sospettato di aver commesso un reato. Il problema, se si vuole, è che abitate in un edificio popolare. Questo fa sì che voi e tutti gli inquilini del palazzo siete potenzialmente soggetti a perquisizioni. È la nuova strategia della sicurezza a Lugano, che presto, assicurano le autorità competenti, sarà replicata in altre case. Magari anche la vostra.

Elezioni Americane
09.11.2016

di 

Martino Mazzonis

Gli scenari peggiori si sono avverati. L’America ha deciso di credere alle promesse vaghe e pericolose del più improbabile e pericoloso candidato della storia delle elezioni da questo lato dell’Atlantico. Con lui molti milioni di americani, anche diversi che avevano votato Obama. La rabbia contro Washington ha vinto su tutto. Ancora una volta: il presidente aveva guidato una rivolta contro il suo partito (e Hillary) e vinto. Poi il Tea Party nel 2010 e infine Bernie Sanders ci era andato a un passo. Gli americani vogliono il cambiamento e continuano a chiederlo a chiunque. Credendo a chiunque lo prometta. Qualsiasi questo sia.

Razzismo istituzionale
09.11.2016

di 

Silvano De Pietro

Per la prima volta in Svizzera un giudice si è occupato della controversa questione di un controllo di polizia su una persona di colore quale possibile violazione del divieto costituzionale di discriminazione razziale. Lunedì scorso il tribunale distrettuale di Zurigo ha respinto il ricorso del 42enne Mohamed Wa Baile contro la multa inflittagli per non aver mostrato un documento d’identità ai poliziotti che l’avevano fermato. La sua spiegazione, secondo cui verrebbe controllato solo a causa della sua pelle scura, per il Tribunale non sarebbe provata. Ma la vicenda non è affatto conclusa. Anche perché il giudice ha sostanzialmente condiviso la motivazione dell’imputato.

Italia
09.11.2016

di 

Loris Campetti

Urla da stadio: “Fuori, fuori”. Fuori Bersani, D’Alema, Speranza e tutti i gufi del No. L’uomo solo al comando ha tirato fuori il drappo rosso (il colore serve solo per la metafora) e i tori del Partito di Renzi (Pdr) si sono scatenati. I buttafuori salvano solo Cuperlo che si è prestato al tipico ruolo dell’ascaro (ascari erano i soldati eritrei mercenari che combattevano al fianco delle truppe d’occupazione italiane nell’Africa orientale), cofirmando con gli ufficiali renziani un documento di fumose promesse per la modifica della legge-truffa elettorale in cambio del Sì al referendum.

Rubriche

09.11.2016

di 

Franco Cavalli
09.11.2016

di 

Elena Fiscalini