«No, non c’è niente da fare, l’hanno inventati apposta i maschi ’sti termini per mortificarci. Hai voglia illuderti di poter inserire queste parole in un canto epico, al massimo ci puoi costruire un racconto dell’orrore. Eccolo: “I pipistrelli volavano all’imbrunire / le vagine gracchiavano nello stagno / era il momento che depositavano le ovaie / un utero tremendo si levò nella notte / gli spermatozoi morirono tutti di spavento!”. Ma la palma dell’orrendo ce l’ha senz’altro un altro termine… faccio davvero fatica a dirlo: orgasmo. Dio che parola! A mio avviso è riferito solo al sesso femminile: gli uomini provano piacere, noi orgasmo». E così via. Per il tema e la discreta simpatia con cui è affrontato questo brano potrebbe benissimo essere tratto dai “Monologhi della vagina”, l’ormai celebratissimo testo assemblato dall’americana Eve Ensler nel 1997 e giunto, da martedì a ieri sera, al Teatro sociale di Bellinzona nella sua versione italiana: rappresentato anche in Ticino, come in tutte le tappe italiane finora, con un debordante successo di pubblico. Ma la citazione non è di Ensler, bensì di una certa Franca Rame, una simpatica signora che si divide fra il marito Dario Fo e il mestiere d’attrice. Una signora che da decenni, con determinazione abbinata a un ostinato garbo, rompe con tutti i tabù legati al sesso e alla femminilità, portando in scena la condizione della donna nel suo complesso. Il brano di Rame citato in apertura ha più di vent’anni. E allora vien da chiedersi dove stia la grande novità, per lo meno dal punto di vista teatrale, dei “Monologhi della vagina”, che tutti i critici unanimi celebrano. Forse in America sarà una novità, ma in Italia c’è chi ha pagato anche personalmente un suo impegno in tempi ben più duri di questi, forse anche per aprire la strada alla signora Ensler. Delle due l’una: o il lavoro di Fo, Rame e altri coraggiosi non è servito a nulla, oppure anche il mondo del teatro ha la memoria fin troppo corta quando si mette ad inventarsi i suoi nuovi miti. Intendiamoci: il testo di Ensler è necessario e di bruciante attualità. Ma non sta per nulla rivoluzionando il teatro. È invece, questo sì, un utile strumento di riflessione per donne e uomini sulla condizione femminile in senso molto ampio, sui rapporti di coppia, sulle relazioni fra i sessi e sulla costruzione dei generi nella vita pubblica e privata. Anche perché, almeno nella versione vista al Sociale, le tre attrici che attualmente lo interpretano (la cantante Tosca, la bravissima Valeria Valeri ed Emanuela Grimalda) puntano molto sulla simpatia e sulla spontaneità come chiavi d’accesso a temi spesso scomodi e difficili. Così, ridendo e scherzando, si passano in rassegna molti dei drammi della condizione femminile, dall’Afghanistan talebano alla Bosnia sotto occupazione serba, dalla repressione del piacere che diventa oppressione dell’io alle mutilazioni genitali, dall’omosessualità femminile ancor più osteggiata di quella maschile alle violenze quotidiane nelle mura domestiche, e l’elenco potrebbe continuare a lungo. I momenti di silenzio e di commozione dunque non mancano nei “Monologhi della vagina”, ma prevalgono quelli in cui la risata è liberatoria, spesso nel senso della rottura di un tabù: così, per quanto assurdo sia, basta che al levarsi del sipario entrino in scena le tre attrici e come prima cosa dicano la parola “vagina” perché già venga giù il teatro. Non parliamo poi del “Blues della fica” cantato (molto bene) da Tosca o della “Galleria dei gemiti” splendidamente proposta da una Grimalda che passa in rassegna tutte le varianti del piacere al femminile. Ensler nei “Monologhi” ha raccolto circa duecento racconti di donne americane che, dopo qualche insistenza, si sono confessate sul loro rapporto con la vagina e con tutto ciò che essa simbolicamente rappresenta. E il parlare della vagina, come si spiega fin dall’inizio, serve a squarciare un velo di silenzio: perché ciò che non osiamo dire diventa segreto, poi vergogna, infine paura. La messa in scena vista al Sociale rispetta fino in fondo i dettami di Ensler, con i leggii in proscenio e le attrici di età diverse, a rappresentare visivamente le stagioni nella vita di ogni donna. Grande su tutte è Valeri, pacata e fine. La asseconda molto bene Grimalda. Tosca invece dimostra di non essere un’attrice, pur mettendocela tutta: ma compensa abbondantemente con la sua splendida voce, con la quale offre spesso dei suggestivi commenti sonori alle letture delle sue compagne d’avventura. Alla fine, uscendo dal teatro, ci si ritrova lì, appeso in piazza Governo, il manifesto dello spettacolo con su scritto a caratteri cubitali l’impronunciabile parola: vagina. E ci si dice che allora è vero, qualcosa negli ultimi decenni è pur cambiato, se nessuno ha protestato ufficialmente o ha inoltrato interpellanze o interrogazioni varie. Forse arriveranno, la reazione è dura a morire. Ma, pur se la memoria è corta, ci si consola al pensiero che Rame non ha lottato invano. Anche se purtroppo il successo dei “Monologhi della vagina” è spia di un bisogno sociale urgente di parola, di discussione, di demistificazione: in definitiva, di ulteriore liberazione.

Pubblicato il 

18.10.02

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