Nel deposito più grande del Cantone, a Sant’Antonino, ci si sta già organizzando. Muniti di magliette col logo GXO, alcuni lavoratori stanno preparando le postazioni per il nuovo cliente, Zalando. Come riferito ieri, il colosso tedesco del commercio online gestirà i suoi resi in Ticino tramite la società logistica statunitense GXO Logistics.

 

Ridimensionato dopo il rientro di Gucci in Italia, il centro di smistamento ticinese di proprietà di Luxury Goods International (gruppo Kering) prenderà di nuovo vita. Una notizia che ha suscitato molte perplessità. Viste le esperienze passate e presenti di alcuni protagonisti di questa operazione, il timore è quello che il Ticino sia stato scelto per quello che è: un (non) luogo dove potere attingere manodopera a basso costo per lavori precari e mal pagati.

 

Di questa situazione ne abbiamo discusso con Chiara Landi, responsabile settore terziario di Unia Ticino.

 

Dal centralissimo altipiano svizzero al periferico Piano di Magadino. La scelta di Zalando appare un po’ bizzarra. Cosa ha pensato, Chiara Landi, quando ha saputo la notizia?

 

Evidentemente questa scelta non è figlia del caso, ma è una strategia studiata molto bene. Essa risponde in primo luogo a una motivazione economica volta ad abbassare i costi della manodopera. Malgrado il fatto che le condizioni offerte alle lavoratrici del sito di Neuendorf non fossero certo mirabolanti, in Ticino queste saranno sicuramente peggiori.

 

Proprio a Neuendorf le lavoratrici avevano ottenuto, dopo un’aspra lotta sindacale, dei miglioramenti delle condizioni di lavoro. Zalando nega che ci sia un nesso tra questo fatto e la decisione di abbandonare Soletta per il Ticino. Ci crede?

 

Non ci credo. Oltre alla questione economica vedo nella scelta di trasferirsi a Sant’Antonino una motivazione antisindacale. È una prassi tipica del settore logistico. Basti pensare a quanto avviene presso Amazon, leader mondiale del settore. Ogni volta che la lotta sindacale funziona, i giganti della logistica tentano di bloccarla dividendo lavoratrici e lavoratori. Fomentando cioè la cosiddetta “guerra tra poveri”. Nel Canton Soletta, la lotta aveva permesso di ottenere alcuni miglioramenti (aumento salariale, tredicesima, più vacanze) ed ecco che, poco dopo questo traguardo, Zalando decide di chiudere e di trasferirsi in Ticino dove potranno essere applicate condizioni di lavoro più scarse e precarie.

 

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Una sorta di delocalizzazione interna che mette in concorrenza la manodopera elvetica. È così?

 

È lo schema classico che avviene quando ci sono delle delocalizzazioni. Si chiudono siti produttivi e logistici mettendo alla porta personale locale per riaprire gli stessi in Paesi che non garantiscono lo stesso livello di diritti, salari e condizioni di lavoro, ingaggiando quindi altri lavoratori e lavoratrici più precari e quindi maggiormente disposti ad accettare determinate condizioni. In questo caso la cosa assurda e grave è che questa concorrenza viene creata all’interno di uno stesso paese, la Svizzera. È una situazione mai vista e per molti punti di vista preoccupante.

 

Nel comunicato di Zalando, si dice che tra i vari aspetti Sant’Antonino offre una “stazione ferroviaria vicina per i pendolari”. Chi saranno quindi questi nuovi pendolari?

 

Il fatto che Zalando metta l’accento su questo aspetto anche nelle sue dichiarazioni ufficiali dimostra quanto sia rilevante per l’azienda avere la certezza di poter accedere alla manodopera frontaliera che, a differenza di quella residente, potrà vivere con il livello di salari che sarà proposto.

 

Cosa la preoccupa maggiormente?

 

Sono preoccupata perché si andrà a impoverire un tessuto sociale già povero come quello ticinese e non si creeranno dei posti di lavoro di qualità e ad alto valore aggiunto per il Ticino. L’obiettivo di questa operazione sembra essere solo quello di massimizzare i profitti sfruttando i margini molto alti della manodopera a basso costo, più facilmente ricattabile. Col rischio poi, come già successo in passato, che una volta sfruttato per bene il sistema si abbandoni il territorio lasciando un deserto industriale e sociale.

 

La società che gestirà il deposito, GXO, si è contraddistinta in Italia per pratiche opache antisindacali. Cosa ci dovremmo aspettare?

 

GXO è famosa nella vicina Penisola per sfruttare a proprio piacimento la manodopera a basso costo. Anche attraverso un sistema opaco di appalti e cooperative che le permette di proporre delle tariffe estremamente “interessanti”. Proprio per questo la società è finita nel mirino delle autorità italiane. La società è poi al centro di alcune vertenze non solo per le condizioni salariali e di lavoro, ma anche per delle pratiche antisindacali e discriminatorie. Non un bel biglietto da visita, certamente.

 

Cosa si può fare come sindacato per evitare che tutto ciò accada in Svizzera?

 

Noi faremo di tutto per bloccare sul nascere queste situazioni. Cercheremo di prendere subito contatto con le lavoratrici e i lavoratori e cogliere ogni segnale di comportamento antisindacale. Una buona idea potrebbe essere quella di stringere un legame tra il nuovo personale ticinese e quello licenziato nel Canton Soletta. Così facendo potremmo spezzare questo sistema che tende a mettere in concorrenza la classe lavoratrice.

 

Zalando scrive che GXO “lavora a stretto contatto con il sindacato locale per garantire condizioni di lavoro eque”. A chi fa riferimento?

 

Ce lo stiamo chiedendo anche noi. Vorremo davvero sapere quale organizzazione asseconda operazioni tanto discutibili e pericolose. Noi come Unia al momento non siamo stati contattati. Ma di certo non ci presteremo al loro gioco.

 

Pubblicato il 

01.10.24
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