Venerdì scorso, al cimitero di Bellinzona, iniziai il ricordo di Werner con queste parole: “Ci sono persone che non si indignano affatto di fronte alle ingiustizie e alla violenza fisica o morale del più forte perché non è affare loro. Girano la testa dall’altra parte. Spesso costoro oggi, a torto, vengono chiamati ‘pragmatici’, mentre sono solo indifferenti. Dante li chiamò ‘ignavi’ e li condannò a correre nello sterco fuori della porta dell’Inferno per l’eternità. Ci sono persone che si indignano, ma poi si dimenticano, prese dai loro problemi quotidiani. Forse sono questi i veri pragmatici. Ci sono poi persone che si indignano e dall’indignazione traggono la forza per cercare di rimuovere le cause di quella violenza, di quella ingiustizia. Werner era una di queste persone”. Una forza di carattere, una coerenza, una determinazione le sue, che hanno trovato la propria origine nella coscienza politica del padre, operaio antifascista negli anni Trenta nei quali essere antifascisti militanti non era una scelta di comodo. Come non fu una scelta di comodo quella di Werner trenta anni dopo di guidare la ribellione nel Partito socialista contro una Alleanza di sinistra che governava il Cantone e che, dopo i meriti iniziali, era scivolata per inerzia sempre più in una gestione del potere accomodante, con episodi di spartizione dello Stato. Una Alleanza che stava stretta ai giovani socialisti alle prese con le nuove rivendicazioni del Sessantotto che chiedevano una diversa ripartizione della ricchezza prodotta, la fine del patriarcato, una libertà sessuale responsabile e un potere a tutti i livelli autorevole e non autoritario. Werner seppe prendere in mano quella ribellione, rispondere alle espulsioni con la creazione di un nuovo Partito, il Psa, e guidare quel partito in una battaglia che non fu solo politica, ma anche culturale. A smentire tutti i pronostici che davano il Psa per spacciato e i suoi esponenti destinati alla catastrofe non solo politica, ma anche personale, fu soprattutto la capacità di lavoro concreto, serio e culturalmente impegnato e la guida instancabile appunto di Werner Carobbio immediatamente nominato segretario della nuova formazione. Anche se fu il risultato di un collettivo, senza Werner probabilmente la ribellione sarebbe fallita. Werner Carobbio non fu solo un instancabile segretario del nuovo Partito per quasi trenta anni, un segretario che dopo le sedute si fermava anche a riordinare il locale e a svuotare i portacenere (!), ma dopo essere stato eletto al Consiglio nazionale come rappresentante isolato e inviso di un partito che esisteva solo in Ticino, con il lavoro serio e documentato seppe conquistare il rispetto di tutti. Venne accolto nel gruppo alle Camere del Partito socialista svizzero, entrò nelle Commissioni fino a diventare Vicepresidente della Commissione che indagava sulle trame eversive in Svizzera. Anche grazie al prestigio che si era conquistato a livello nazionale il Pss intervenne per favorire la riunificazione dei socialisti in Ticino. Con la riunificazione il percorso del Psa si concluse, ma resta nella nostra piccola Storia la testimonianza che l’impegno, il lavoro serio può sconfiggere anche poteri consolidati e che il dialogo vero, senza pregiudizi, senza cose non dette e senza cose non capite, è sempre preferibile a un atto di forza come fu l’espulsione. Specialmente in momenti, come quelli alla fine degli anni Sessanta, di cambiamenti epocali per molte certezze e per molti valori del passato. |