Wef 2005 a Berna, una giornata da no-global

Nessun incidente grave ma molta paura a Berna sabato scorso. Gli altermondialisti e gli agenti in tenuta antisommossa sono riusciti a mantenere la calma nonostante svariati episodi – riportati in questo reportage sul terreno di area – che avrebbero potuto facilmente far esplodere la violenza. La tensione era nell’aria e le provocazioni non sono mancate, né da una parte né dall’altra. I controlli sono stati indiscrimati e a tappeto finché gli agenti si sono resi conto che la situazione era gestibile senza il bisogno di uno scontro “a muso duro”. Non mancano comunque neppure quest’anno le denunce contro l’operato della polizia. Ore 12, benvenuti alla stazione centrale di Berna. Grazie. Sabato però, scese le scale, il viaggiatore non si è trovato subito immerso nella realtà placida della città degli orsi. Nel sottopassaggio ad attenderlo c’erano decine di poliziotti in tenuta antisommossa, silenziosi e bene in fila. Semplice turista o manifestante no-global? Difficile da capire a prima vista. Così si passa nei ranghi serrati dei tutori dell’ordine che decidono se vale la pena o meno di controllarti. I viaggiatori, confusi, si fermano nel sotterraneo in attesa di un segno o di un varco per poter passare. «Cosa sta succedendo?», chiede una signora a voce alta e visibilmente scossa. Non ottiene risposta. Il clima è teso perché è appena giunto un treno da Losanna e la polizia ha deciso di bloccare un gruppo di giovani. Le fila si stringono ancora di più, si può passare solo uno alla volta. I ragazzi vengono accerchiati e fatti sedere sull’asfalto fra i binari 9-10 e 12-13. «Tutti a terra, dobbiamo controllarvi». A questo punto la gente incuriosita si avvicina per capire cosa sta succedendo, ma la polizia nervosa intima di stare lontani. «Almeno 3 metri da noi», precisa una delle tute blu. Del gruppo all’interno, che si riesce a vedere solo fra gli interstizi degli scarponi degli agenti, sopraggiunge solo un forte vociare: «On a rien fait!». Vengono svuotati gli zainetti. Nella foga cade una bottiglia di birra che rovina a terra. Un botto quasi come quello di un colpo d’arma da fuoco rimbomba fra i muri. Silenzio, tutti spaventati, polizia compresa. Si tira un sospiro di sollievo alla vista della schiuma e del vetro verde. Prendo nota sul taccuino, sottomano ho l’apparecchio fotografico. Un uomo corpulento si avvicina, la distanza occhio-occhio è sotto ai 10 centimetri: «lei ha esattamente 5 secondi per andarsene. 4, 3, 2, 1. Bene, venga subito con me e non si dimeni». «Scusi ma lei chi è?». «Non importa chi sono io, se non la smette di farfugliare la sbatto dentro. Richard* riprendi questo qui con la videocamera. Ha una faccia che non mi piace». È un agente della polizia di Berna in borghese che dopo varie insistenze mostra il suo tesserino. «Scusi, ma perché non si è annunciato subito come agente della polizia? Sono un giornalista». «Non mi interessa chi è lei, se ne vada. Mi ha già fatto perdere troppo tempo. Non osi fare altre foto». Una signora si avvicina e confessa che è delusa dall’atteggiamento di chi dovrebbe mantenere l’ordine: «non si fa così». La tensione è palpabile anche fuori dalla stazione. L’unica manifestazione autorizzata è quella lungo il fiume Aare, la “tanzparade anti-wef”. Ma nelle strade della città vecchia piccoli gruppi hanno organizzato azioni puntuali di protesta “piene di fantasia”. Chi con un palloncino in mano, chi con un cartello o ancora altri con azioni più elaborate (vedi le foto in pagina). Ad ogni angolo è presente la polizia, il dispiegamento di forze è davvero massiccio. Non si riesce a confondere fra la massa numerosa – molto di più degli attivisti anti-wef – degli acquirenti. I controlli sono a tappeto, basta portare un cartello in mano o capelli lunghi. Marie*, una studentessa losannese di 19 anni urla in lacrime: «mi avete già bloccato in stazione, poi due volte qui. Questa è la quarta volta! Tenetevelo il mio passaporto». I due agenti bernesi non sanno il francese «Ruhe mademoiselle, carta d’identità prego». Un negoziante chiude a chiave la porta: «anche a costo di perdere i preziosi clienti del sabato. C’è tutta la mia vita fra questi scaffali e non voglio che qualcuno mi rovini per i suoi ideali, giusti o sbagliati che siano. Decida, o dentro o fuori ma non stia sulla soglia». Alle 14 si forma un corteo di una cinquantina di persone che vuole avanzare compatto sul ciottolato della capitale. La polizia li blocca nella Kornhausplatz, nessun assembramento è permesso. Un ragazzo si avvicina agli scudi trasparenti, partono insulti agli agenti che restano calmi. Gli amici lo trascinano via. Un’anziana impaurita si guarda intorno (nella foto in grande a fianco), non vede vie d’uscita. Chiede soccorso. Un agente alza la visiera, poi decide di togliersi tutto il casco. Passa lo scudo al collega a fianco. Sorride e con dolcezza accompagna l’anziana fuori dalla zona calda. Viene ripreso dal superiore ma l’effetto sui manifestanti è più forte del lucido manganello. Gli animi cominciano ad acquiterarsi. Il gioco fra il gatto e il topo volge al termine. I controlli si stanno esaurendo e i manifestanti danno sfogo all’immaginazione e riescono infine ad esprimersi liberamente. Alcuni amanti dello shopping scambiano le azioni di protesta per «simpatica animazione nella via dei negozi». Alle 17 Berna è tornata la città dell’orso dormiente, in letargo invernale. Alla stazione c’è ancora polizia ma i volti sono decisamente più distesi. Al bar un agente dice: «sono 25 anni che faccio questo mestiere. Dovete capire che delle volte farsi insultare da un ragazzino che potrebbe essere vostro figlio è duro da accettare. Ma è il mestiere che ci siamo scelti. Lo ricordo spesso ad alcuni miei colleghi più giovani e suscettibili. La violenza chiama la violenza». * I nomi sono di fantasia

Pubblicato il

28.01.2005 01:30
Can Tutumlu