Voto in Usa, gli eterni esclusi

Negli Stati Uniti, il paese delle libertà, è veramente possibile di tutto. Per esempio, c’è chi si prende la libertà di intimidire chi vorrebbe andare a votare. È una prassi ormai annosa e difficile da estirpare. Oltre 4 milioni di persone non possono poi esercitare il diritto di voto perché hanno alle spalle una o più condanne penali. Se potessero esprimersi, la maggior parte di loro voterebbe per il partito democratico e quindi ad uscire favoriti sono i repubblicani. Cambiare non sarà facile. Negli ultimi 4 anni, molti americani sono diventati più consapevoli dell’importanza del loro voto. In alcuni stati, come il New Mexico o la Florida nel 2000 l’esito dello scrutinio è dipeso da poche centinaia di voti. Anche per questo, negli ultimi mesi molte organizzazioni hanno lavorato sodo per convincere i potenziali elettori ad iscriversi in lista. Negli Stati Uniti, per poter esercitare il diritto di voto bisogna prima essere iscritti nelle liste elettorali. Il cittadino deve chiedere espressamente di poter esercitare questo diritto. I termini per farlo variano da stato a stato. Solo il Maine e il Wisconsin permettono agli elettori di iscriversi il giorno delle elezioni. In genere bisogna decidersi entro 20-30 giorni prima della scadenza. Non è comunque detto che chi si iscrive poi vada effettivamente a votare. Quest’anno, sindacalisti, ambientalisti, pacifisti si sono coalizzati con l’obiettivo di convincere quanta più gente possibile ad andare a votare. Hanno reclutato in posti che in passato erano stati trascurati: tra le minoranze latinos, nelle riserve indiane, nelle comunità all’estero e naturalmente tra i soldati al fronte. Molti studenti hanno (ri)scoperto l’interesse per la politica. Nei campus universitari in questi mesi sono stati organizzati concerti e dibattiti con lo scopo di convincere la gente ad iscriversi nelle liste elettorali. Era facile trovare qualcuno di loro davanti ai cinema dove si proiettava il film “Fahrenheit 9/11” di Michael Moore. Persino imprese private e catene televisive sono attive nella raccolta di adesioni. Negli Stati Uniti, milioni di persone non possono comunque esercitare il diritto di voto perché hanno alle spalle condanne penali. Questa prassi, introdotta negli stati del sud, si è di fatto propagata a quasi tutto il paese. Solo nel Vermont e nel Maine i detenuti possono votare. In alcuni stati il diritto viene tolto ai recidivi (Arizona e Maryland) e in altri, come la Florida, anche chi ha scontato la pena non ha più diritto di voto. Solo il governatore può decidere a chi ridare questo diritto. Se all’inizio degli anni ’70, gli esclusi erano circa 200 mila, adesso oltre 4 milioni di adulti americani (circa il 2 per cento della popolazione adulta) non possono eleggere il presidente, perché non hanno la fedina penale pulita. Questo fenomeno è andato di pari passi con il rapido e continuo aumento della popolazione carceraria. Al punto che i neri, che più facilmente finiscono in prigione e che ormai sono il 40 per cento della popolazione dietro le sbarre, temono per il futuro dei loro diritti. Da un recente studio realizzato in Georgia, uno stato del sud, è emerso che ad Atlanta, la città della Coca Cola, il 14 per cento dei neri adulti non vota perché è in prigione o in libertà vigilata. Un altro studio realizzato nel Rhode Island afferma che in questo stato vicino al Massachusetts un nero su tre in età compresa tra 18 e 34 anni non può votare, contro il 3 per cento dei colleghi bianchi e il 10 per cento degli hispanic. In questo stato un nero su cinque non può eleggere il nuovo presidente. In Florida gli esclusi sono oltre 600 mila. Anche in questo caso la maggior parte sono neri o latinos. Anche se solo la metà di loro avesse potuto votare 4 anni fa Al Gore, il candidato democratico, avrebbe vinto la Florida senza problemi, fanno notare le organizzazioni delle comunità nere, che in questi mesi hanno intensificato i loro sforzi per rendere attenta l’opinione pubblica di questo fenomeno. Queste elezioni stanno assumendo sicuramente un carattere storico. Quest’anno saranno in tanti a sorvegliare le procedure di voto. L’Election Protection Coalition, una coalizione di oltre 60 organizzazioni di difesa dei diritti politici e delle minoranze, invierà sul campo circa 25 mila volontari che potranno fare capo a 5 mila avvocati. Quest’anno persino una commissione internazionale verrà a sorvegliare le operazioni di voto. L’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha affidato il compito ad una commissione guidata dalla deputata socialista zurighese Barbara Haering. Il lavoro che la attende è imponente, anche perché il sistema elettorale americano non solo è complicato, ma ha anche una cattiva fama, soprattutto nel sud del paese. Basta leggere il recente rapporto “The long shadow of Jim Crow” pubblicato dall’Naacp, la più importante organizzazione americana dei neri, e da “People for the american way” per capire quanta gente è stata intimidita e tenuta alla larga dalle urne anche durante le recenti consultazioni elettorali. Il rapporto è giunto a poche settimane di distanza dalle dichiarazioni rilasciate dal 73enne deputato repubblicano bianco del Michigan John Pappageorge. «Se non sopprimiamo il voto di Detroit, dovremo fare i conti con grosse difficoltà alle prossime elezioni», ha affermato. La dichiarazione ha scandalizzato prima di tutto i neri perché a Detroit l’80 per cento della popolazione è di colore. I neri sono spesso il bersaglio di intimidazioni. Ma non sono i soli. Anche alcuni indiani del Sud Dakota non hanno potuto votare in gennaio perché, a differenza delle precedenti consultazioni, quest’anno è stato loro richiesto di presentare un documento di identificazione. Nel Texas un ex giudice distrettuale ha affermato che gli studenti di un college frequentato a maggioranza da neri non potevano votare nella contea dove si trova la scuola, cosa che invece è possibile. Adesso si ritrova inquisito per violazione della legge elettorale. Nel 2002, in Louisiana, sono stati distribuiti volantini tra i neri dove si precisava che si poteva andare alle urne tre giorni dopo la data fissata per l’elezione del senatore locale. In Florida ufficiali pubblici hanno interrogato anziani neri su irregolarità di voto e lo hanno fatto in modo tale che gli anziani si sono sentiti minacciati. A Baltimora, nel 2002, nei quartieri neri si è sparsa la notizia che per poter votare bisognava dimostrare di aver pagato il parcheggio e gli affitti arretrati. Naturalmente non era vero, ma molti hanno preferito restare lontani dai seggi. Altro che libertà.

Pubblicato il

08.10.2004 03:30
Anna Luisa Ferro Mäder