"Votate no, affinché il diritto a riposare, non diventi lusso per pochi"

Il comitato "La domenica non si vende" lancia la campagna per il referendum del 18 giugno: il rischio è la liberalizzazione totale, anche in altri settori

È un invito a votare no senza esitazioni il prossimo 18 giugno, quando il popolo ticinese dovrà esprimersi sulle modifiche alla Legge sulle apertura dei negozi.

Perché se la tattica, attuata da chi insegue la liberalizzazione degli orari, è quella del salame (aggiungi ore su ore fino alla completa apertura dei commerci), c’è chi invita a togliersi le fette di... salame degli occhi.


«Se oggi dovesse crollare la tutela del riposo domenicale nel commercio, prima o poi crollerà in tutti gli altri settori professionali, verso una società dove riposare e passare il tempo con la propria famiglia non sarà più un diritto, ma un lusso a cui solo pochi privilegiati potranno accedere».

Diretta al punto centrale è andata Chiari Landi, responsabile del settore terziario di Unia, che in conferenza stampa questa mattina alla Casa del popolo a Bellinzona, ha illustrato le insidie che si nascondono dietro a questo progetto di legge contro il quale è stato lanciato il referendum, il quale permetterà ai cittadini di avere l’ultima parola.


È arrivata la Pasqua e in tanti commercianti, pur avendo il diritto, hanno deciso di non aprire. Che cosa vorrà dire? Che il santo non vale la candela.

Eppure, c’è chi – ha continuato Landi – continua a sostenere che gli orari dei negozi non sono abbastanza liberi (o liberalizzati..). «Che cos’è che non basta? Ma forsa la domanda giusta da porsi è: a chi non basta? Chi ha bisogno di aperture per più di 16 ore al giorno, 7 giorni su 7? Non i consumatori, non il personale di vendita, non il piccolo commercio». E la risposta è semplice: «Non basta alla grande distribuzione, alle potenti catene commerciali che da sempre spingono verso la totale liberalizzazione. Non basta al forte commercio, che i promotori delle liberalizzazioni hanno deciso di assecondare, premendo sull’acceleratore» ha spiegato Landi, che fa parte in rappresentanza di Unia del comitato “La domenica non si vende”.


I motivi per opporsi alle modifiche approvate dalla maggioranza del Gran Consiglio, a detta del comitato, sono tanti. In quanto – citiamo papale, papale – la decisione del Parlamento è stata presa con grande fretta senza nessuna valutazione degli effetti concreti e tenendo in considerazione esclusivamente i desideri dei grandi commerci e non della popolazione e soprattutto senza alcuna considerazione delle esigenze del personale del ramo, di cui i sindacati si sono fatti portavoce promuovendo il referendum.

 

«Siamo preoccupati: quanto il Gran consiglio ha proposto non è un intervento banale e limitato, ma un ampliamento che apre la strada all’apertura generalizzata anche per le grande distribuzione tutte le domeniche e tutti i giorni fino alle 22.30» ha evidenziato Benedetta Rigotti, del sindacato Ocst.


Landi ha rincaricato il concetto: «Con questa modifica, si rischia di spalancare le porte alla generalizzazione della giornata lavorativa di 24 ore». L’invito è dunque quello di non farsi «ingannare: non si tratterà di una piccola modifica. E non lasciamoci sedurre dai falsi miti del progresso; la modernità deve fare rima con sostenibilità: salari dignitosi, orari di lavoro ragionevoli, vero equilibrio tra vita professionale, familiare e privata. Questa è la modernità».


Il prossimo 18 giugno si voterà per il referendum contro le modifiche della Legge sugli orari di apertura dei negozi, che per il comitato “La domenica non si vende” rappresenta il secondo atto dell’opera di liberalizzazione degli orari di apertura e del lavoro domenicale, che si vuole fare a colpi di modifiche progressive.

 

Ma davvero non ci sarà nessun vantaggio per l’economia?
Aumento posti lavoro: c’è chi sostiene che aumenteranno.

 

«Per crescere, dovrebbe aumentare il fatturato, altrimenti come sarebbero finanziati? Ora, se i ticinesi hanno a disposizione un certo budget e quello resta sempre lo stesso, è difficile che possano spendere di più.. Sfatiamo il mito: la spesa all’estero i ticinesi la fanno per i loro magri salari e non perché è bello andare di domenica. La mediana svizzera dei salari è del 23% superiore a quella ticinese, ma i negozi, specialmente quelli che operano a livello nazionale, hanno gli stessi prezzi» ha annotato Rigotti.

 

L’ampliamento degli orari di apertura non inciderebbe positivamente sui posti di lavoro «come vorrebbero farci credere, ma aumenta solo i contratti precari e su chiamata».

Nessun beneficio diretto per l'economia quindi, anzi: più ci saranno negozi aperti la domenica, nei giorni festivi e fino a tardi la sera, più altri settori dovranno inevitabilmente adattarsi (asili nido, doposcuola, personale addetto alla pulizia di questi negozi, trasporti, eccetera) con le relative conseguenze per il personale.

 

Sì, perché il grande problema resta quello del destino riservato alle donne, che rappresentano il 70% del personale nella vendita, se la riforma dovesse passare.

 

Gli aspetti relativi alla conciliazione tra lavoro e famiglia sono essenziali, si sa, ma «per una mamma aggiungere un’ora in più alla sera non è uguale a zero, tanto più che quando il negozio chiude, per esempio alle 19, non si torna subito a casa. Per una mamma lavorare una domenica in più all’anno non è uguale a zero, specialmente se non può contare su qualche familiare che quel giorno possa curare dei suoi figli. Ma soprattutto la concessione ai negozi fino a 400 mq della totale libertà di aprire nelle zone turistiche significa aprire questa possibilità anche alla grande distribuzione. Significa che moltissime lavoratrici potenzialmente potrebbero dover essere impiegate in un lasso temporale che va dalle 6 alle 22.30 tutte le domeniche dell’anno. Dalle sei alle 22.30 non è uguale a zero per una mamma, che avrà un effetto molto forte sulla vita familiare» ha continuato Rigotti.

 

Per Igor Cima, della direzione del Partito socialista ticinese, «come partito abbiamo combattuto contro una riforma ingiusta che creerebbe solo precariato e peggiori condizioni di lavoro. Ora scendiamo in campo a fianco dei lavoratori per combatterla, per rimandarla al mittente».

 

Marco Noi, grancosigliere dei Verdi del Ticino, la riforma «erode il tempo libero a tutte le persone, che vengono costrette all’interno di un sistema consumistico, che costringe a lavorare per… consumare. Non si può consumare all’infinito, neppure le risorse umane che non hanno più tempo di rigenerarsi».


Infine, le considerazioni di Gianfranco Cavalli, del Partito operaio e popolare Ticino (Pop): «Il tempo è denaro? Siamo messi male, visto che il Ticino è il cantone più povero (tasso del 15%) con salari da fame. Una logica che non quadra: come possiamo spendere il denaro che non abbiamo? Di più: hanno già i nostri soldi, vogliono anche il nostro tempo, vogliono che lo spendiamo in futilità, invitandoci negli unici luoghi che hanno ancora i posteggi gratuiti e i parchi gioco coperti. Per noi del Partito operaio e popolare una deregolamentazione porterà a spezzettare maggiormente i turni di chi già adesso lavora e a nessun ulteriore posto di lavoro. E a essere preoccupante è il fatto che in un contesto di emergenza sociale, le preoccupazioni sono aprire inultilmente i commerci e promuovere un’idea di sviluppo incentrata incentrata sul consumo e non sul lavoro».



Per restare aggiornati sulla campagna, è stato realizzato un apposito sito

Pubblicato il

20.04.2023 15:10
Raffaella Brignoni
Editore

Sindacato Unia

Direzione

Claudio Carrer

Redazione

Francesco Bonsaver

Raffaella Brignoni

Federico Franchini

Mattia Lento

Indirizzo
Redazione area
Via Canonica 3
CP 1344
CH-6901 Lugano
Contatto
info@areaonline.ch

Inserzioni pubblicitarie

Tariffe pubblicitarie

T. +4191 912 33 88
info@areaonline.ch

Abbonamenti

T. +4191 912 33 80
Formulario online

INFO

Impressum

Privacy Policy

Cookies Policy

 

 

© Copyright 2023