L'editoriale

Negli ultimi mesi abbiamo imparato a leggere la situazione epidemiologica e sanitaria legata al coronavirus attraverso dei grafici a curve. Curve che oggi, fortunatamente, vediamo quasi piatte, perché i numeri dei nuovi contagi, dei ricoverati e dei morti si avvicinano ormai allo zero. Ma vi sono altre curve che si stanno invece impennando. Sono quelle che si riferiscono ai senza lavoro, ai sotto-occupati, ai poveri. Curve che mitigano drasticamente la gioia dataci da questa fase di ritorno alla vita, perché preannunciano, anche per la ricca Svizzera, un futuro a tinte fosche, se non saranno adottate incisive misure in difesa dell’occupazione e dei salari.  


I dati e le previsioni ci dicono che per le lavoratrici e per i lavoratori la situazione, anche in questo nuovo contesto di ripresa delle attività economiche, rimane tesissima e che molti problemi devono ancora essere risolti. Soprattutto per le categorie più fragili (giovani, donne, lavoratori anziani, immigrati) e peggio retribuite, che dalla crisi del coronavirus escono ulteriormente e fortemente indebolite. Anche perché le misure di aiuto sin qui adottate dal Consiglio federale (in particolare con lo strumento del lavoro ridotto) hanno sì, nell’immediato, evitato una catastrofe sul mercato del lavoro, ma non hanno impedito un aumento della disoccupazione di proporzioni inedite (che sfiora il 40 per cento in due mesi) e una generale perdita del potere d’acquisto dei cittadini. E una crescita della povertà, come drammaticamente documentano le code davanti ai centri di distribuzione del cibo, ai mercatini della Caritas e alle mense sociali delle principali città svizzere.

 

D’altro canto, la situazione rischia di aggravarsi ancora: secondo un’indagine del centro zurighese di ricerca congiunturale Kof la maggioranza delle imprese prevede di ridurre i propri effettivi e alla fine dell’anno 900mila persone potrebbero trovarsi senza lavoro o sotto-occupate. Al rischio di una nuova ondata di coronavirus in autunno, si aggiunge quello di un’ondata di licenziamenti.


Di qui l’urgenza d’interventi incisivi a garanzia del reddito e dell’occupazione e dunque del rilancio dei consumi e dell’economia. Ci vorrebbe il coraggio di misure innovative, come la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario o un reddito di base incondizionato. Ma in ogni caso, in assenza di esso, andrebbe per esempio garantito il salario al 100 per cento alle persone più fragili che si trovano in disoccupazione totale o parziale, così come andrebbe limitata la libertà di licenziare, in particolare per quelle aziende che hanno beneficiato e beneficiano di aiuti pubblici.

 

Altro che riportare le prestazioni dell’assicurazione contro la disoccupazione e per la perdita di guadagno allo stato precedente la crisi, come chiede il laboratorio politico dell’ultraliberismo Avenir Suisse nella sua attuale martellante campagna contro «il dolce veleno del sostegno statale». Altro che minacciare il referendum contro la rendita ponte per i lavoratori anziani quando tra gli ultra 55enni la disoccupazione è cresciuta del 50 per cento in due mesi. La direzione che serve al Paese è quella opposta. Per tornare a vivere e non doversi accontentare di sopravvivere.

Pubblicato il 

03.06.20

Dossier

Nessun articolo correlato