Visioni a tappe

«Siamo in un periodo di recessione. E voi sapete bene che occorre fare di tutto affinché i residenti nel nostro paese, che siano svizzeri o immigrati, possano trovare un posto di lavoro: prima di cercare stranieri provenienti da paesi non membri dell’Ue, bisogna occupare tutti i residenti in Svizzera, che hanno il diritto di avere un lavoro». Con queste parole, pronunciate al recente congresso del Partito socialista svizzero per spiegare una proposta di emendamento del Ps della città di Zurigo, la presidente nazionale Christiane Brunner ha riassunto la sostanza del documento sulla politica migratoria, che è stato adottato dal congresso e che verrà integrato nella piattaforma elettorale del Pss. L’affermazione di Brunner ha riecheggiato le parole pronunciate ad un congresso sindacale a metà degli anni Settanta dall’allora presidente dell’Uss Ezio Canonica, che parlò del «diritto naturale degli svizzeri al posto di lavoro». L’episodio illustra bene come, praticamente dal dopoguerra in poi, la politica svizzera degli stranieri non sia affatto cambiata. L’unica differenza è che allora si parlava di protezione del posto di lavoro degli svizzeri contro gli stranieri in generale, mentre oggi – dopo l’abolizione dello statuto di stagionale e l’entrata in vigore degli accordi sulla libera circolazione con l’Ue – si cerca di difendersi dai “rifugiati economici” provenienti dai paesi esterni all’Unione europea. Ed è nel segno di questa continuità che il Pss ha rinunciato a sostenere il principio della libera circolazione totale per tutti gli stranieri a prescindere dal loro passaporto. «Non è passato molto tempo» - ha detto la vicepresidente e consigliera nazionale Christine Goll - «da quando la Svizzera era un paese d’emigrazione. Oggi è un paese d’immigrazione: oltre la metà degli scolari ha almeno un genitore d’origine straniera». Ciò significa che le differenze nei diritti e le disparità di trattamento non sono più giustificabili; come non è più tollerabile che a causa di questa politica discriminatoria molti immigrati restino abbandonati all’arbitrio della polizia degli stranieri. «E il futuro non sarà migliore, se pensiamo alla proposta di nuova legge sugli stranieri, che cementa questa illegalità, questa politica del rifiuto e la stessa integrazione che rimane una formale dichiarazione gratuita». L’intervento di Christine Goll, uno dei più incisivi nel lungo e serrato dibattito, è servito a fugare i dubbi sull’opportunità di discutere ed approvare un documento sulla politica migratoria (alcune sezioni cantonali avevano chiesto che fosse ritirato). Ma non ha potuto impedire che venisse adottata una posizione pragmatica, per quanto «non compatibile con i nostri ideali, con la nostra visione socialista», come ha ammesso Christiane Brunner. La presidente del Pss ha tuttavia affermato che «il nostro partito deve ora prendere una posizione chiara: non deve soltanto reagire alle proposte della destra, ma dev’essere una forza propositiva». Di conseguenza, «se non si hanno proposte concrete, non si hanno risposte da opporre all’Udc e neppure alla mancanza di coraggio del Consiglio federale». E la posizione pragmatica scelta dal congresso rappresenta proprio una di queste risposte. In pratica, i socialisti si sono divisi tra due opzioni. La prima, sostenuta principalmente dalle sezioni delle maggiori città e dal movimento delle donne socialiste, chiedeva l’immediata applicazione della libera circolazione delle persone, prevista dagli accordi bilaterali, anche agli immigrati provenienti da paesi non membri dell’Ue. Come dire che, poiché siamo tutti uguali, chiunque arriva e trova un lavoro può rimanere in Svizzera. Con questa soluzione – secondo i suoi sostenitori - si risolverebbe tra l’altro il problema dei “sans papier”. La seconda variante considera invece la libera circolazione come un obiettivo futuro, ancora lontano. A breve e medio termine, invece, la priorità d’accesso al mercato del lavoro dev’essere data ai lavoratori indigeni ed agli immigrati dai paesi dell’Ue. Le imprese che vogliono ingaggiare manodopera proveniente da paesi non membri dell’Ue, devono garantire a questi lavoratori pari condizioni di salario e d’impiego, ed adempiere precise disposizioni legali relativamente alla loro integrazione (corsi di lingua) ed alla loro formazione. Una volta ammessi, dunque, anche i lavoratori “extracomunitari” devono avere l’assoluta parità di trattamento con quelli provenienti dall’Ue. Il diritto al ricongiungimento familiare dev’essere immediato e incondizionato; tutti i membri della famiglia devono avere permessi di soggiorno indipendenti da quello del beneficiario del ricongiungimento familiare; la mobilità geografica e professionale dev’essere piena, per consentire ai lavoratori stranieri di far fronte alle conseguenze di licenziamenti, ristrutturazioni, fusioni, delocalizzazioni di aziende, ecc. Secondo la sintesi che ne ha fatto la presidente Brunner, le due varianti rappresentano, l’una, «la nostra visione socialista», e l’altra, «ciò che possiamo fare per arrivare a tappe a quella visione, che sarebbe la libera circolazione nel mondo intero». Ma non tutti nel partito hanno condiviso concetto e linguaggio così equilibrati. A prevalere sono state le preoccupazioni di chi, con realismo politico, ha mostrato di temere la paura che gli svizzeri hanno della concorrenza della manodopera straniera; e di chi ha definito «irrealistico» pensare di imporre una libera circolazione generalizzata, poiché non è possibile che la Svizzera lasci entrare proprio tutti. Un orientamento generale, questo, che s’è avvertito anche nella messa a punto del concetto d’integrazione. Non bisogna confondere “integrazione” con “assimilazione”, è scritto nel documento. Ma l’integrazione non va separata da precisi doveri dei migranti, tra i quali l’obbligo di contattare un servizio d’orientamento professionale nei primi 6 mesi ed a frequentare un corso di lingua entro i 12 mesi dall’arrivo in Svizzera. Viene infine auspicata la creazione di una “Commissione federale della migrazione”, composta da rappresentanti dei cantoni e dei partner sociali, da economisti, da rappresentanti di organizzazioni d’aiuto agli stranieri e da specialisti nei campi dell’asilo, dell’integrazione e della politica dello sviluppo.

Pubblicato il

25.10.2002 02:00
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