Vietato dissentire

In Italia chiunque esprima dubbi sull’invio di armi in Ucraina viene additato come servo di Putin. Nel tritacarne finiscono persino i partigiani

L’eccitazione virile scatenata dalla guerra trascina politica e media in un trip che non risparmia niente e nessuno. Neppure il 25 aprile, festa della Liberazione dai nazifascisti. La caccia al nemico scavalca le frontiere ucraine e sbarca a casa nostra: chiunque condanni la politica criminale di Putin e l’invasione russa schierandosi con le vittime della guerra ma al tempo stesso si preoccupi del rischio di estensione della guerra, cioè della catastrofe mondiale e chieda soluzioni politiche, diplomatiche, tregua e trattative, è un traditore, un servo di Putin. Dissentire dall’invio di armi a Kiev equivale, paradossalmente, all’ingresso in guerra dalla parte dell’aggressore. Ricordare gli 8 anni di guerra nascosta nel Donbass e le altre cento guerre nel resto del mondo è esso stesso un crimine di guerra, è intelligenza con il nemico.


E così, sotto il fuoco dell’arco costituzionale, dal Pd a Fratelli d’Italia passando per la Lega, Renzi, Calenda, e persino un putiniano d’annata come Berlusconi, c’è l’Anpi, l’associazione dei partigiani italiani, rea di non essersi limitata a condannare Putin ribadendo il no alla guerra. Il suo presidente Gianfranco Pagliarulo, reo di «shakerare le retoriche pacifiste di Gino Strada e quelle ambientaliste di Vandana Shiva», è finito sul rogo, l’Anpi è di illegittima rappresentanza della Resistenza perché la maggior parte dei suoi iscritti è troppo giovane, non sono partigiani ma figli e nipoti degenerati dei veri partigiani. Così i giornali e le Tv, sotto il comando della marina militare degli Agnelli-Elkann, in testa l’ammiraglia Repubblica, quotidianamente scovano un partigiano “vero”, uno degli ultimi viventi, disposto a smentire il suo presidente invocando la guerra totale a guida anglo-americana condotta con le nostre armi dalla vittima sacrificale: il popolo ucraino. E cercano di invadere la festa della Liberazione con le bandiere della Nato (nata nel 1949, peraltro) che a Torino saranno portate in piazza dalle associazioni ebraiche. Se dall’Anpi non sono gradite, perché con la lotta di Liberazione c’entrano come la panna con la carbonara, ecco la conferma che Pagliarulo è un putiniano. Tantopiù perché contesta l’equivalenza tra la resistenza di ieri al nazifascismo e quella, più che legittima, degli ucraini oggi. Tra poco ci spiegheranno che nel ’45 a liberare Genova è stata la Nato e non le brigate partigiane.
“L’Italia ripudia la guerra” ordina il primo articolo della Costituzione. Sono stati proprio i partigiani che hanno combattuto con le armi e sconfitto i nazifascisti ad aver voluto con insindacabile determinazione queste parole: perché avevano sperimentato sulla propria pelle l’orrore della guerra.
L’Anpi non è la sola vittima della democrazia con l’elmetto. Persino il Papa, già oscurato per i suoi appelli alla trattativa e al disarmo e per aver definito follia l’aumento delle spese militari deciso anche dall’Italia, è finito nel mirino di Zelensky per aver fatto portare la croce nella processione del venerdì santo a due donne, una ucraina e una russa. Vergogna, dicono i seguaci italici del comico ucraino, non lo sa Francesco che i russi son tutti cattivi e con loro non si prega e non si cammina? È la stessa logica di chi, a Mosca, vede un nazista in ogni ucraino ma non vede i nazisti in casa propria. I nostri guerrafondai devoti vorrebbero come papa la controfigura in chiave cattolica e occidentale del metropolita Cirillo, patriarca di Mosca e di tutte le Russie, che invita a uccidere il nemico, nazista e pervertito. L’Italia, ribadiscono Draghi e le sue guardie del corpo dem, sta con chi invoca “armi, armi, armi” e non chi supplica “pace, pace, pace”. Ma il sogno di una pace futura (mica oggi, oggi si spara), dice Draghi, passa attraverso la scelta obbligata di spegnere i condizionatori. Armi usate agli ucraini e armi nuove di zecca agli italiani, a costo di tagliare i fondi per la sanità e l’istruzione. Ma per fortuna, nel Belpaese non si muore sotto le bombe russe, almeno per ora, nonostante la politica criminale di Putin e gli sforzi angloamericani di precipitarci nella 3a guerra mondiale di cui parla da tempo papa Francesco. Tuttalpiù in Italia si muore di lavoro, ogni anno e ogni giorno di più. Il liberismo porta alla guerra e, al tempo stesso, cancella i diritti e la vita stessa dei lavoratori.

Pubblicato il

22.04.2022 17:07
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