Viaggio nel porto dei senzatetto

È sotto gli occhi di tutti ma per il momento non ha diritto ad esistere ufficialmente. Il destino del Centro ticinese di prima accoglienza per senzatetto, aperto un anno fa nel Mendrisiotto dal Movimento dei senza voce (Mdsv), sembra al momento essere speculare a quello dei sans-papiers: per poter restare dov’è ha bisogno dell'invisibilità. Discreta nella sua presenza sul territorio, la struttura è un rifugio aperto a tutti coloro che – come dice Maria Invernizzi Piccioni del Mdsv – «sono macinati dagli eventi della vita, dalla clandestinità forzata, dalla tossicodipendenza, dalla malattia o dall’indigenza.» Una casa come tante altre e tutt’intorno un cortile. Il Centro è all’interno di un paese del Mendrisiotto, niente che possa far pensare che in questo piccolo “porto” hanno trovato riparo decine di equadoregni colpiti da mandato di espulsione. Ed insieme a loro, negli ultimi tempi, persone che hanno avuto bisogno di un tetto sotto cui riparare: chi per un giorno, chi per qualche mese. Illegali e no. La legge punisce chi ospita persone illegali, sans-papiers, ed è per questo che il Centro non può esistere ufficialmente visto che al suo interno accoglie anche loro, giunti qui per fame o per sfuggire alla persecuzione. L’appartamento è decoroso, quattro stanze per un totale di 16 posti letto, soggiorno. «Ci sono stati momenti – ci racconta Maria Invernizzi Piccioni, che ci accompagna nella visita al Centro – in cui abbiamo dovuto ospitare anche 20 persone. Qui le persone sostano da un giorno ad un massimo di tre mesi che è il limite da noi fissato per evitare che il Centro diventi un parcheggio. Naturalmente, questo limite può variare di fronte ad un caso che necessita di più tempo.» Ora, dopo la partenza degli equadoregni, che hanno costituito l’emergenza cantonale a livello di sans-papiers, gli ospiti sono ridotti a quattro. Solo uno di loro, il 25enne Delâl* (vedi riquadro), è senza permesso di soggiorno e a rischio di espulsione mentre fra gli altri c’è chi vi si trova oltre che per necessità anche per sfuggire alla solitudine dell’emarginazione, come Livio*, 28enne ticinese con problemi di tossicodipendenza che pur essendo sotto tutela non ce la fa a vivere da solo e che per questo ha chiesto di poter alloggiare al Centro. O chi, come Riccardo e Mila*, due missionari laici cileni, di passaggio in Ticino e con pochi soldi in tasca, condivide la sorte di chi ha un pesante passato di sofferenza e che ha in progetto l’apertura in Cile di un centro per accogliere giovani disadattati e con problemi di tossicodipendenza. Un via vai che comunque connota l’appartamento come anomalo rispetto alle altre abitazioni del nucleo. «Devo dire che i vicini del quartiere – afferma Invernizzi-Piccioni – sono a dir poco adorabili. Mai una lamentela, neanche quando abbiamo ospitato il folto gruppo degli equadoregni con i quali c’è stato qualche momento di esuberanza o di tensione. Ci hanno sempre trattato con gentilezza e la loro tolleranza merita tutta la nostra riconoscenza.» Prima di visitare la struttura, sostiamo in casa di Gigi*, un ragazzo il cui appartamento è contiguo a quello del Centro. È lui a fungere da tramite fra gli ospiti e i membri del Mdsv. La malattia lo costringe a casa ma gli permette di dare una mano a quelli del Movimento. «Lo faccio volentieri – ci dice – perché credo profondamente nella solidarietà umana. Qui ho visto passare tanti, tutti con storie durissime. Per alcuni, giunti smarriti e senza più voglia di vivere, sostare al Centro ha significato poter prendere una boccata d’ossigeno, non sentirsi braccati dall’angoscia. Quando sei depresso e disperato, l’avere un pasto caldo, il potere fare una doccia o il poterti sfogare non dico che ti cambia la vita ma ti aiuta a non precipitare le cose. Sono contento di poter dare una mano: gli ospiti sanno che io ci sono e quando hanno bisogno mi chiamano. E così anche per quelli del Mdsv che per qualsiasi evenienza possono contare su di me.» Senza la presenza di Gigi, la già difficile situazione del Centro sarebbe ancora più precaria. Non è facile infatti riuscire a tenerlo in piedi, ci sono quotidianamente tanti problemi da risolvere e le risorse a disposizione del Mdsv sono ridotte all’osso, tanto che le uniche sacche disponibili a cui è possibile attingere sono la disponibilità di volontari e le offerte mandate al movimento. «Agli ospiti che possono – afferma la rappresentante del Mdsv – chiediamo un contributo di 5 franchi al giorno ma sono pochi coloro che riescono a pagarsi il soggiorno. È davvero dura e abbiamo più volte rischiato di chiudere. Fortuna però che quando ci siamo trovati alle strette, ci sono pervenute le donazioni “miracolose” di alcuni benefattori che ci hanno permesso almeno di coprire le spese dell’affitto, che ammontano a 1’500 franchi mensili. Speriamo che i miracoli continuino… «Ci sarebbe inoltre – prosegue Maria Invernizzi Piccioni – un urgente bisogno di una persona, almeno a metà tempo, che si occupasse del Centro ma fino ad oggi ci è stato materialmente impossibile assumerla. In un Centro come il nostro arrivano persone che hanno grossi problemi, talvolta persone provenienti da culture diverse che si ritrovano a convivere sotto lo stesso tetto. E si sa che dalle convivenze possono scaturire tensioni anche per motivi banali come la semplice cura della casa. Al momento, cerchiamo come possiamo e con l’aiuto di Gigi di risolvere i problemi quotidiani che si presentano. Ma abbiamo un urgente bisogno, oltre che di finanziamenti, anche di persone disponibili a prestare ore di volontariato. Le cose da fare sono tantissime (da piccoli lavori manuali per il mantenimento del Centro all’aiuto per disbrigo di documenti al prendere contatto con i servizi esistenti quando una situazione lo richiede) ma troppo pochi i volontari che ci danno una mano.» Dunque le casse vuote non sono l’unico assillo a cui il Mdsv deve far fronte. «Ci sono persone che arrivano qui e che non sanno più cosa fare della loro vita, con addosso una forte depressione. Ci sono situazioni per le quali dobbiamo poter far capo a figure professioniste – continua la nostra interlocutrice – come medici, assistenti sociali, consulenti giuridici. Fortunatamente fino ad oggi abbiamo trovato alcuni professionisti sensibili che si sono messi a nostra disposizione gratuitamente.» Chi arriva al Centro riceve aiuto e sa che non gli verrà chiesto conto del suo passato. «Ciò che chiediamo è il rispetto reciproco tra ospiti e di alcune regole elementari: niente consumo di droghe o alcol all’interno della struttura. Per il resto, noi dal canto nostro – dice Maria Invernizzi Piccioni – cerchiamo d’instaurare con loro un dialogo e, laddove è possibile, di aiutarli ad orientarsi, a costruirsi un minimo di progettualità nella vita. Sia ben chiaro: non vogliamo sostituirci ai servizi sociali esistenti, piuttosto ci attiviamo per tamponare quel vuoto che i servizi non riescono a colmare. Ma se persone disperate arrivano da noi è perché non hanno trovato accoglienza da nessun altra parte.» «Disponendo di maggiori mezzi – interviene Gigi – sicuramente ci sarebbe la possibilità di accogliere più persone. Di uomini e donne che sono “alla frutta” ce ne sono purtroppo tanti in giro: chi per un brutto divorzio alle spalle, chi per dipendenza dal gioco, da droghe o da alcool, chi con sul groppo dei ricoveri alla clinica neuropsichiatrica. Non dico che il centro possa rappresentare la soluzione per tutti questi problemi però credo che il potersi ritrovare con persone che comunque hanno ancora fiducia nella tua capacità di ripresa, che sono solidali e senza tornaconto, possa costituire uno stimolo.» La condizione di semiclandestinità a cui è costretto attualmente il Centro resta un handicap di base per chi potrebbe farne capo ma non può perché non ne conosce l’esistenza. «È il nostro paradosso – dice la nostra interlocutrice –: siamo qui per coloro che ne hanno bisogno ma solo una minoranza riesce, attraverso i passa parola o le conoscenze personali, a raggiungerci. Per questo è importante che il governo favorisca l’esistenza di centri come il nostro (di cui il Cantone è privo) e ne riconosca la necessità permettendone così l’accesso a quelle persone che si ritrovano in situazioni di disperata precarietà.» *I nomi sono inventati per proteggere l’anonimato delle persone coinvolte ma la loro vera identità è nota alla redazione. Chi volesse sostenere il Centro con ore di volontariato può contattare il Mdsv allo 091 825 05 63 (www.senzavoce.ch; info@senzavoce.ch) oppure può versare un contributo sul Conto corrente postale n° 65-9483-6 intestato al Movimento dei senza voce con la causale “Centro di prima accoglienza”. Il futuro sospeso di Delâl Sono le 19.30 circa quando entriamo nel soggiorno del Centro. In un angolo la televisione troneggia, mentre al tavolo siede Delâl intento a chiacchierare con Rosa, una giovane equadoregna venuta a trovarlo. L’aria è velata da un sottile strato di fumo e il posacenere colmo di cicche indica che Delâl di sigarette ne ha già fumate parecchie. Nella camera accanto Livio riposa mentre Riccardo e Mila, i due missionari laici cileni (si veda l’articolo principale), non hanno ancora fatto rientro. Dei quattro ospiti Delâl è l’unico sans-papier al momento. Ha 25 anni e da due mesi si trova al centro in attesa che la sua situazione si appiani. «Sono curdo – ci racconta – e sono giunto in Italia clandestinamente nel 2000, da lì sono partito per Zurigo dove ho raggiunto uno zio. Mi sono sposato con una ragazza curda che aveva il permesso di soggiorno e ora ho un figlio di 4 anni che non vedo da due. Stavo bene, facevo diversi lavori tramite un’agenzia di collocamento ma le cose con mia moglie non sono andate per il verso giusto e lei ha chiesto il divorzio. Con il divorzio ho perso anche il diritto di stare in Svizzera e sono venuto in Ticino dove c’è un parente con cui ho avuto dei diverbi e così mi sono trovato da solo senza sapere dove andare. Non posso avere un lavoro perché non ho un permesso e non posso avere un permesso perché non ho un lavoro.» Un giorno, tramite una ragazza del Movimento dei senza voce viene a sapere del Centro. «Venivo ospitato qua e là – dice Delâl– e mi sentivo a pezzi, rifugiarmi qui mi ha permesso di prendere fiato. Non vedo futuro per me, e nelle mie condizioni è difficile avere degli amici. Ma ciò che mi angoscia di più è non poter vedere mio figlio, non sapere come sta crescendo. Non voglio che veda suo padre ridotto così. Ho rotto con i parenti e se non fossi qui al Centro sarei chissà dove, senza un tetto dove ripararmi. Sogno di riavere un permesso e di ricostruirmi una vita ma per il momento spero solo di ricominciare a vedere davanti a me un futuro meno nero.» L’indigenza non può attendere Nel 2003 il Mdsv aveva consegnato al Consiglio di Stato una petizione sottoscritta da 1’600 persone per la creazione di Centro di prima accoglienza, una richiesta a cui le autorità hanno risposto incaricando un monitoraggio sui senzatetto e sui Nem (richiedenti l’asilo sulla cui domanda le autorità non sono entrate in materia) in Ticino, uno studio i cui risultati dovrebbero essere pubblicati a breve. Ma chi sta nell’indigenza, chi si ritrova all’addiaccio d’inverno senza un riparo, chi non ha un pasto caldo, chi non può soddisfare in alcun modo i suoi bisogni primari, non può aspettare. Come non potevano aspettare gli equadoregni che illegalmente negli ultimi anni hanno transitato sul nostro territorio. Un nutrito gruppo di persone senzatetto di fronte all’indigenza dei quali due anni fa anche lo stesso Consiglio di Stato per un Natale optò per una soluzione umanitaria permettendo loro di essere accolti dal Centro della Croce rossa. Una soluzione per le vacanze natalizie finite le quali gli equadoregni – come denunciarono ancora quelli del Mdsv – si ritrovarono ricacciati nella precarietà di prima. Non però abbandonati perché in quel periodo grazie al Mdsv (nato proprio a sostegno degli equadoregni) riuscirono ad avere, se non altro, la solidarietà di molti ticinesi, alcuni dei quali decisero di accoglierli sfidando il divieto della legge ad ospitare persone illegali. Scelta difficile e rischiosa che, lo scorso anno costò alla ticinese Karin Witzig del Mdsv una condanna con la condizionale e una multa per aver nascosto e accolto nella sua casa alcuni equadoregni clandestini destinati all’espulsione. D’altronde, seppure su un altro fronte, il Tribunale federale – facendo riferimento all’articolo 12 della Costituzione – a proposito degli aiuti urgenti ha giudicato inderogabile il diritto fondamentale a condizioni minime d’esistenza di cui deve godere ogni persona, clandestina o meno, che si viene a trovare in una situazione di disagio e precarietà.

Pubblicato il

20.05.2005 01:00
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