I risultati del voto di domenica scorsa sono noti e quelli del Ticino hanno fatto discutere anche nel resto della Svizzera. È possibile un’interpretazione al di fuori di un sentimento di autocommiserazione che non serve a nessuno? Penso proprio di sì, anche se devo prevenire chi legge area: non intendo proporre una lettura “scientifica” dei risultati del voto sulla libera circolazione delle persone, ma solo trasmettere qualche considerazione del tutto soggettiva, anche se non del tutto arbitraria. Il messaggio unanime dei partiti borghesi e dei socialisti e verdi, come quello dei sindacati, non è stato capito dai ticinesi? Se dovessimo orientarci solo su quanto abbiamo letto sui media della Svizzera italiana (il Grigioni italiano ha votato infatti come il Ticino) dovremmo sostenere che il popolo non ha capito o non ha voluto capire il messaggio. È sempre scorretto dare una patente di ignorante ad una popolazione intera. Penso proprio che gli abitanti della Svizzera italiana abbiamo capito il contenuto del quesito che era loro posto in votazione. Ma la comprensione da sola non riesce a dar conto della decisione messa nell’urna. Infatti, e purtroppo, le decisioni non vengono prese solo con la testa ma anche con il cuore, e talvolta anche con il ventre. Cosa si nasconde dunque dietro questo voto così irrazionale, anche da un punto di vista partigiano, cioè irrazionale altrettanto per gli interessi della classe padronale che per quelli della lavoratrice? Si nascondono molte cose, in parte anche a me sconosciute. Mi vengono comunque alla mente almeno due fattori su cui siamo chiamati a riflettere nei mesi che seguiranno. Il primo di essi è dato dalla paura. Paura di un licenziamento, di una dequalificazione o di una messa al margine del mondo del lavoro. Questa paura è esplicita tra molti ticinesi, ma circola anche in maniera strisciante in persone che manifestano una certa qual sicurezza. Penso che la sinistra in genere ed i sindacati in particolare abbiano un compito irrinunciabile: mantenere vivo il senso di solidarietà tra tutti i salariati, cercando di far superare le paure che portano a difese puramente corporatiste o nazionaliste. Il secondo fattore è meno riflettuto nell’ambito della sinistra anche se mi sembra decisivo: è quello legato al bisogno di riconoscimento. La popolazione della Svizzera italiana percepisce, anche se in gran parte in maniera incosciente, di non contar praticamente nulla in Svizzera. La sua lingua sta perdendo il suo carattere di ufficialità e di diffusione reale nel Paese. Si diffondono fantasmi collettivi, secondo cui non rimane che buttarsi nelle braccia della potente Zurigo o di quelle altrettanto forti di Milano. Quando questi fantasmi diventano più forti ci si rinchiude a riccio ed il voto di domenica non ne è che la manifestazione esplicita. A niente servono le “prediche” dei partiti, se non si vuol ammettere (e non necessariamente approvare) questo bisogno di riconoscimento collettivo.

Pubblicato il 

23.09.05

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