Come già risaputo, dall’inizio di questo mese di giugno è entrata in vigore la seconda fase d’applicazione dell’accordo bilaterale tra la Svizzera e l’Unione europea (Ue) sulla libera circolazione delle persone. Ciò significa, in concreto, che già da due settimane qualsiasi cittadino di un paese dell’Ue può venire a lavorare in Svizzera senza alcuna restrizione, ed i cittadini svizzeri possono liberamente trovare lavoro nell’Ue. In altri termini, sono caduti i controlli preventivi delle autorità sulle condizioni di lavoro e di salario, nonché la precedenza da dare nelle assunzioni ai lavoratori indigeni (svizzeri e stranieri già attivi in Svizzera). Rimane ancora fino al 2007 un contingentamento numerico, cioè un limite massimo di ammissioni in Svizzera, ed un anno di tempo ancora, fino a metà del 2005, prima che la libera circolazione venga estesa anche agli ultimi 10 paesi che sono entrati a far parte dell’Ue soltanto dal 1° maggio scorso (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Malta e Cipro). Nonostante questa gradualità che concede ancora qualche mese di tempo, è chiaro che ormai il processo di apertura è avviato e prima o poi vedremo una certa massa di nuovi cittadini dell’Ue (se pochi o tanti ancora non si può dire) che verrà a cercare lavoro da noi. Il pericolo di dumping salariale e sociale è evidente. Per farvi fronte, le misure d’accompagnamento approvate dalla Confederazione prevedono l’istituzione, in ogni cantone o regione ed a livello federale, di commissioni dette “tripartite” perché composte da rappresentanti dell’autorità, dei datori di lavoro e dei sindacati. Tali commissioni devono osservare costantemente, cioè monitorare, il mercato del lavoro ed intervenire anche con sanzioni laddove le condizioni di lavoro e di salario si discostano da quelle usuali nella regione o previste dai rispettivi contratti collettivi di lavoro. Ma i sindacati sono inquieti. A preoccuparli è soprattutto la mancanza di indicazioni operative univoche e precise, per cui le commissioni tripartite si comporteranno in modo diverso. «Dovremo fare i conti con 26 comportamenti diversi», prevede Regula Rytz, segretaria centrale dell’Uss. I compiti delle commissioni tripartite sono numerosi ed impegnativi: devono raccogliere i dati, disporre le ispezioni, valutare se si verificano abusi e quindi intervenire. In diversi cantoni non è però chiaro neppure come procedere, visto che non dispongono di dati e non sono quindi in grado di fare un confronto tra i salari eventualmente presi in esame e quelli in uso nella categoria e nella regione. E poi hanno un numero di ispettori decisamente troppo basso. Sono difetti, questi, che dipendono chiaramente dalla scarsezza di mezzi messi a disposizione delle commissioni tripartite. Tra l’altro – come ha ricordato il consigliere federale Joseph Deiss rispondendo ad un’interrogazione del deputato ticinese Meinrado Robbiani – «i cantoni sono i soli responsabili del finanziamento delle commissioni tripartite, della loro costituzione e del loro funzionamento». Quindi, tutto dipende dalla sensibilità e dal grado di responsabilità con cui i politici locali affrontano il problema. In base alle esperienze finora fatte (commissioni paritetiche ed osservatorio del mercato del lavoro), a muoversi bene finora è stato il canton Ticino, ed abbastanza bene si sono mossi i cantoni della Svizzera francese, in primo luogo Ginevra. In Ticino, per esempio, l’osservatorio è in funzione da tempo ed è stata costituita, per tutte le 16 commissioni paritetiche, un’associazione interprofessionale comune che esercita una sua propria attività di controllo sull’applicazione dei contratti collettivi di lavoro. La stessa cosa non può dirsi di tutti gli altri cantoni, in particolare di quelli di lingua tedesca, i quali in maggioranza sono ancora chiaramente impreparati, e non sembrano aver percepito l’ampiezza della posta in gioco. Per esempio, Basilea Città ha messo in preventivo appena 20 mila franchi per finanziare la commissione tripartita, raccogliere i dati sul mercato del lavoro ed eseguire i controlli sugli abusi. Perché – abbiamo quindi chiesto alla signora Regula Rytz – le commissioni tripartite funzionano meglio in Ticino e nella Svizzera francese, e trovano invece molte difficoltà nella Svizzera tedesca? «Le ragioni principali sono due», risponde Rytz. «Innanzitutto i cantoni latini sono più sensibilizzati a questo problema, anche perché hanno sempre avuto una più forte presenza di lavoratori stranieri. In secondo luogo, nella Svizzera tedesca c’è meno consapevolezza, nel senso che i cantoni trattano da sempre con molto distacco tutti gli aspetti sociali della politica economica. È insomma la stessa problematica che abbiamo riscontrato anche nell’applicazione della legge sul lavoro e nella protezione dei lavoratori, dove il Ticino ed i cantoni romandi collaborano di più, mentre l’atteggiamento di fondo dei cantoni della Svizzera tedesca appare più liberale quando dicono: “Queste cose si regolano da sé”. Un altro motivo è che alle commissioni tripartite sono stati dati finora molti pochi mezzi per fare questa osservazione del mercato del lavoro ed attuare tutti i controlli necessari». Ma perché – chiediamo ancora – i cantoni si danno così pochi mezzi per questi compiti? «C’è al fondo», risponde Regula Rytz – «un atteggiamento ideologico, improntato quasi ad un certo “laissez faire”. È un comportamento dettato dalla scelta di non immischiarsi, per quanto possibile, negli affari dell’economia. Dal nostro punto di vista, ovviamente, questo è sbagliato, poiché per la protezione delle condizioni di lavoro si deve assolutamente fare uso di queste misure d’accompagnamento». C’è da sperare che i cantoni lo facciano e si sveglino, specie ora che, nella suddetta risposta al consigliere nazionale Meinrado Robbiani, il ministro dell’economia Joseph Deiss ha assicurato che, «per quanto concerne la parte della Confederazione e dei mezzi da impiegare a suo nome, è già stato previsto un adeguamento per il 2005, ed il Consiglio federale è fermamente deciso a disporre dei mezzi necessari per far fronte ai suoi compiti in materia».

Pubblicato il 

11.06.04

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