Ventiquattr'ore senza di noi

L'iniziativa "24 ore senza di noi", la giornata del 1° marzo in Francia durante la quale gli immigrati erano invitati ad incrociare le braccia per far sentire il valore del loro apporto all'economia del paese, voleva essere simbolica.

Non ha contato, quindi, il numero delle persone che hanno partecipato all'iniziativa, voluta da un collettivo formato da un gruppo di persone che non rivendicano nessuna affiliazione politica. Del resto, sarà molto difficile valutare in termini quantitativi l'effetto della partecipazione alla "giornata senza di noi". Il collettivo è soddisfatto: a Parigi c'erano circa 3mila persone al sit in di fronte all'Hotel de Ville, altre manifestazioni statiche sono state organizzate nelle grandi città francesi. L'iniziativa, che aveva preso spunto da un movimento nato negli Usa alcuni anni fa, è stata seguita anche in Italia e in Grecia. Paesi come la Germania, il Belgio o l'Olanda hanno inviato dei rappresentanti in Francia il 1° marzo, per vedere come organizzare una giornata analoga il prossimo anno.
In Francia, l'idea di organizzare la "giornata senza di noi" era stata una reazione a un'ennesima affermazione razzista fatta da un ministro (Brice Hortefeux, ministro degli interni, nel settembre scorso era stato filmato accanto a un militante di origine straniera mentre diceva: "quando ce n'è uno va bene, ma quando ce ne sono tanti…"). Poi, ci sono stati i mesi dello sconfortante "dibattito" sull'identità nazionale francese, iniziativa presa dal ministro dell'immigrazione, l'ex socialista Eric Besson passato al sarkozismo. A causa di questo dibattito, molte dighe sono crollate, il linguaggio si è per così dire "liberato" e le frasi razziste, anche da parte di esponenti politici di primo piano, si sono moltiplicate.
È anche per fermare questa deriva che sono state organizzate le "24 ore senza di noi". Per il collettivo che ha organizzato la giornata, «l'iniziativa è stata un successo. Non avevamo il progetto di bloccare la Francia, siamo un piccolo colettivo. Ma volevamo riportare il dibattito sul valore dell'immigrazione al centro della discussione pubblica». I sindacati hanno sostenuto l'iniziativa, senza però implicarsi direttamente. Un collettivo che raggruppa circa 200 persone del mondo del cinema, da Laurent Cantet, Palma d'oro a Cannes, fino a Isabelle Adjani, ha realizzato un cortometraggio di tre minuti e mezzo, già su Internet e che dal 15 marzo sarà in 500 sale in Francia. Qui i lavoratorti sans papiers raccontano. Sono persone che lavorano in Francia, alcuni anche da anni, e che chiedono la regolarizzazione, per evitare sfruttamento, bassi salari, eccessiva flessibilità, precarietà estrema. 6 mila di questi lavoratori, concentrati nel settore dell'edilizia, sono in sciopero dal 12 ottobre scorso. "Lavoriamo qui, viviamo qui, restiamo qui" è il loro slogan, ripreso dal titolo del cortometraggio. Lo sciopero è sostenuto dalla Cgt e da altri sindacati. «Oggi siamo in un rapporto di forze favorevole» afferma Raymond Chauveau della Cgt, sottolineando che, secondo un recente sondaggio, il 64 per cento dei francesi approva una regolarizzazione dei lavoratori sans papiers. Convincere l'opinione poubblica non è stato facile. «Per cominciare – racconta Chauveau – è stata una battaglia vinta all'interno della Cgt. E non era per nulla una cosa scontata». Poi la battaglia dell'opinione è stata vinta «mettendo in luce la situazione di supersfruttamento, di massima flessibilità, che queste persone subiscono. Così oggi la maggioranza della popolazione afferma che bisogna regolarizzare, che si tratta di lavoratori come tutti gli altri».

Pubblicato il

05.03.2010 03:30
Anna Maria Merlo
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