«2000-2020. Vent’anni controvento». Si presenta così una densa brochure promossa dall’Asp, l’Associazione per la difesa del servizio pubblico che negli ultimi due decenni si è battuta su più fronti contro chi ha voluto togliere competenze e compiti allo Stato. Dal settore energetico, a quello socio-sanitario, dai media alla scuola, in vent’anni il servizio pubblico è stato oggetto di attacchi, più o meno espliciti. Di questi due decenni di battaglie ne abbiamo discusso con Graziano Pestoni, presidente dell’Unione sindacale svizzera Ticino e Moesa nonché primo segretario dell’Asp. L’ultima votazione che ha toccato il servizio pubblico si è tenuta lo scorso 9 febbraio. Pur senza suscitare grandi dibattiti, i cittadini ticinesi votanti hanno accettato (53,1%) di ancorare nella costituzione cantonale il principio della sussidiarietà orizzontale. Che detta in maniera spiccia significa non far fare al pubblico quello che il privato già fa, più o meno bene. Una proposta promossa da Sergio Morisoli (Udc), sempre pronto ad inserire grimaldelli nel servizio pubblico sin da quando era Segretario generale del Dipartimento finanze ed economia guidato da Marina Masoni. Oggi, parlamentare e direttore regionale in Ticino dell’azienda di servizi Iss, continua la sua personale battaglia contro lo Stato. Graziano Pestoni, partiamo proprio da qui, dal voto di domenica. Non se ne è parlato molto, ma quali saranno le conseguenze? È vero: non c’è stato un grande dibattito e forse anche i contrari avrebbero potuto essere più chiari e presenti. Ciò detto, concretamente non si avranno effetti immediati, trattandosi di un semplice principio costituzionale. Però è chiaro che si tratta di un segnale negativo. Si vuole far credere di nuovo che lo Stato sia inefficiente e che il privato sia migliore. Un discorso in voga negli anni addietro, ma che sta diventando desueto. A cavallo tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila, in Svizzera, cominciarono gli attacchi al servizio pubblico. In questo contesto è stata costituita l’Asp. Quale è stata la vostra prima battaglia? Ci siamo costituiti nel 2000, quando il processo di privatizzazioni in Europa era in corso da parecchio tempo, mentre in Svizzera si erano da poco privatizzati i servizi postali, telecomunicazioni e ferrovie. In Ticino c’era il sentore che si volesse privatizzare l’Azienda elettrica ticinese (Aet) e così è nata l’Asp. In effetti, nel 2001, Marina Masoni ha presentato un messaggio governativo che andava in questa direzione. Non è andata però così. Cosa è successo? C’era stata una votazione nazionale in merito ad una modifica della Legge federale sul mercato dell’energia elettrica che andava verso una liberalizzazione del settore. Contro questa legge i sindacati, in particolare la Vpod, lanciò un referendum. In Svizzera la legge fu bocciata al 51,1% mentre in Ticino, dove abbiamo fatto una grande campagna, i no raggiunsero addirittura il 61,2%. Qualche settimana dopo, il Consiglio di Stato ritirò il messaggio concernente la privatizzazione di Aet: era evidente che il referendum che sicuramente avremmo lanciato avrebbe bocciato la sua proposta. Poi, se ben ricordo, c’era anche la questione della Banca dello Stato. Cosa è successo? In quegli anni vi era l’idea di privatizzare BancaStato, come proposto da un messaggio governativo su proposta di Marina Masoni del maggio 2001. Dopo lunghi dibattiti in Gran Consiglio, la proposta fu poi abbandonata e, nel 2003, fu accolta la nostra richiesta di designare una Commissione di controllo del mandato pubblico. Le prime battaglie sono state vinte, ma in seguito non tutto è andato bene. Cosa è successo? Abbiamo assistito a vari e regolari tentativi di togliere le attività al settore pubblico, nel settore socio-sanitario, nei settori amministrativi dello Stato, nei media, nella scuola, nelle aziende elettriche comunali eccetera. Anche laddove abbiamo vinto una votazione, non si è mai al riparo dagli smantellatori del servizio pubblico. Ci faccia qualche esempio... Nel 2007, sono state aumentate le competenze di controllo del Gran Consiglio sul mandato dell’Aet. Nemmeno dieci anni dopo, nel 2016, il Gran Consiglio su proposta di Vitta ha ridotto queste competenze. Sempre nel settore energetico, nel 2011, siamo riusciti, nonostante l’opposizione del Governo, a fare in modo che il Cantone riscatti le concessioni dei grandi impianti idroelettrici alla loro scadenza. Un patrimonio gigantesco, una miniera d’oro su cui i privati cercheranno di nuovo di mettere le mani. Occorre quindi essere sempre vigili... Esattamente. Lo abbiamo visto anche nel settore ospedaliero. Se non c’è un’attenzione costante, il rischio è che anche quando si fa un passo in avanti, dopo qualche tempo si fa di nuovo retromarcia. Occorre essere vigili. E sa perché? Mi dica... Perché è la tattica della fetta di salame. Le cose non vengono fatte mai in modo particolarmente manifesto. Arriva la propostina oggi, la modifica domani. E così, un passo dopo l’altro, il servizio pubblico va scomparendo. Ciò che significa prestazioni meno adeguate, ma anche una maggiore frantumazione della società. I peccati originali sono stati le privatizzazioni di quelle che erano le ex regie federali. Lei si è occupato della questione da vicino. Quale è il bilancio? È catastrofico. Si è dato al privato ciò che rendeva e il pubblico, però, per decisione parlamentare deve continuare a fare utili. Come dimostra la Posta, ciò significa riduzione dei servizi e di ripercussioni gravi sul personale. Da anni si accenna ad un’iniziativa popolare per il ripristino delle ex regie federali. A che punto siamo? Se ne parlerà ancora a maggio all’Assemblea dei delegati dell’Uss, ma sembra esserci una certa reticenza da parte delle federazioni interessate. Peccato, perché in altri Paesi si sta ridando al pubblico quello che gli era stato tolto. La tendenza dovrà essere quella.
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