Globalizzazione

Nei pascoli in altura del Colorado è finita l'estate: mucche e vitelli hanno già fatto ritorno nelle stalle di pianura. Ciò che avviene anche in Svizzera. Ma i bovini americani non sono come i nostri: ai loro orecchi viene applicata una capsula che rilascia ormoni della crescita. Così facendo i vitelli avranno bisogno di meno tempo e di meno cibo per raggiungere il peso minimo per essere macellati.I grossi produttori americani hanno però un problema: sospettati di provocare tumori negli esseri umani, gli ormoni della crescita sono vietati in Europa. Nel Vecchio Continente vige infatti il principio di precauzione, per cui un prodotto alimentare può essere venduto solo se si accerta che non è nocivo per le persone. Negli Usa invece vale il contrario: tutto è ammesso finché non si dimostra che un determinato prodotto è dannoso per la salute umana. Ecco, per parlare del Ttip possiamo partire da questo esempio: da un vitello cancerogeno che presto potrebbe essere venduto anche in Europa.


Il Ttip (Transatlantic trade and Investment partnership) è un accordo in fase negoziale tra Stati Uniti e Unione europea che intende creare la zona di libero scambio più grande del mondo.
Non essendo parte dell’Ue, la Svizzera non prende parte ai negoziati per questo trattato. Ma l’associazione mantello delle imprese svizzere Economiesuisse e altri gruppi d’interesse vorrebbero che anche la Confederazione vi prendesse parte. Le loro analisi parlano di crescita economica e di vantaggi per tutti. Entusiasti, ci dicono che con il trattato il prezzo di prodotti come la carne scenderà. Già, ma preferiamo una bistecca un po' più cara o una a buon mercato ma impregnata di ormoni cancerogeni?


Questa domanda ci fa capire come le norme, negoziate in silenzio nell’ambito del Ttip e di altri apparentemente astratti trattati internazionali, toccano importanti aspetti della nostra vita. Ma non si tratta soltanto di bistecche: in gioco vi è la salute e la tutela dei consumatori, il diritto al lavoro, la difesa dei servizi pubblici, la protezione dell’ambiente e anche la democrazia


Abbattere le protezioni


Al giorno d'oggi invocare il libero mercato non significa più volere abbattere dazi doganali o quote d’importazione: queste misure non esistono praticamente più, per lo meno tra grandi aree commerciali. Rimane però qualche piccolo “ostacolo”, ossia quelle norme che obbligano le imprese  ad accettare alcune condizioni o che proibiscono la circolazione di determinati prodotti. Come è il caso per la vendita della carne bovina agli ormoni. O come quelle norme che impediscono la coltivazione di organismi geneticamente modificati (Ogm). Tali  misure non sono protezionistiche, ossia stabilite per bloccare dei prodotti esteri a difesa dell'economia interna, ma sono emanate per tutelare la salute dei consumatori, dei lavoratori o dell’ambiente. Per le multinazionali queste norme sono però un intralcio. Un ostacolo, non a caso definito “barriere non tariffali al commercio”, il cui obiettivo esplicito dell’accordo transatlantico è il loro abbattimento. Il Ttip, insomma, è quella ruspa in grado di spianare gli ultimi bastioni eretti dalla collettività a salvaguardia dei consumatori, dei lavoratori, della produzione locale o dell’ambiente.


Ma, benché potente, il Ttip non è l’unica ruspa di questo tipo in azione. Il prossimo 27 ottobre, l’Ue e il Canada dovrebbero firmare il Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement), il fratello minore del Ttip. E poi vi è un altro superdemolitore: il Tisa (Trade in Services Agreement), il trattato multilaterale sulla liberalizzazione nel settore dei servizi che dal 2012 viene discusso a Ginevra da 23 paesi, tra cui la Svizzera (tramite la Seco). Anche in questo caso siamo in fase avanzata: oggi, 21 ottobre 2016, è il termine ultimo per lo scambio delle offerte finali degli Stati. Il Tisa dovrebbe così andare in porto entro la fine di quest’anno e, nonostante la sua totale assenza dal dibattito politico, avrà un impatto molto importante su dei settori primari quali la sanità, la formazione, l’approvvigionamento energetico o lo smaltimento dei rifiuti.


Resistere, resistere, resistere


Lo scorso 8 ottobre a Berna più di 2.000 persone hanno manifestato contro il Ttip e il Tisa. Come nei vari paesi europei, anche in Svizzera è stata creata un’alleanza di organizzazioni e sindacati secondo cui «il mondo non ha bisogno di più commercio, ma di un commercio equo». La coalizione, di cui fa parte anche Unia, chiede al Consiglio federale trasparenza totale nell’ambito di queste trattative e esige che tutti gli accordi di libero scambio che la Confederazione dovesse firmare debbano essere sottoposti a votazione popolare.


La maniera antidemocratica con la quale sono negoziati questi accordi è proprio una delle loro principali criticità. Tutto avviene a porte chiuse limitando i diritti di partecipazione democratica da parte delle popolazioni interessate.  


Soltanto dopo che Greenpeace ha pubblicato 240 pagine di documenti segreti sul Ttip si è potuto appurare quanto si sospettava: mentre la società civile è esclusa dai negoziati, le grandi imprese transnazionali vengono associate su numerose decisioni importanti. Anche per il Tisa c’è voluta una fuga di notizie per far divulgare i contenuti dell’accordo. Ad inizio ottobre Wikileaks ha pubblicato una  serie di documenti dai quali si evince come la Commissione europea stia premendo per una deregulation totale nei servizi.


Vi sono poi altri tre aspetti particolarmente problematici. In primo luogo vi è la “risoluzione delle controversie tra investitore e Stato” che permette alle multinazionali di fare causa ai governi portandoli di fronte a un collegio arbitrale. Il secondo aspetto è l’irreversibilità, ossia  l’impegno a non adottare nella legislazione nazionale misure più restrittive rispetto a quelle adottate nell’accordo. Infine, il grosso timore concerne il futuro del servizio pubblico, già messo a dura prova negli ultimi decenni. Ora, in seguito all'accordo Tisa, anche gli ultimi bastioni sono destinati a cadere. La Svizzera avrà infatti l’obbligo di privatizzare completamente sia la Posta che Swisscom.


A livello locale ci si sta mobilitando per creare delle “zone fuori Tisa/Ttip”. Le prese di posizione sono sempre di più. Il Gran Consiglio ginevrino, considerando che «gli accordi di libero scambio  si fondano su dei sistemi vincolanti che riducono l’autonomia e il controllo degli Stati e delle loro popolazioni», chiede al Consiglio federale di «opporsi a qualsiasi accordo che condurrebbe a nuove privatizzazioni o smantellamenti dei servizi pubblici in Svizzera». In Ticino, l’Associazione per la difesa del servizio pubblico ha inviato una lettera ad alcuni Municipi delle città ticinesi, chiedendo di aderire al proprio appello contro i trattati Ttip e Tisa.

 

Per ora Bellinzona e Biasca hanno risposto presente. Ed è proprio la resistenza dal basso che potrebbe portare ad un blocco degli accordi. In Francia e Germania le forti opposizioni popolari hanno spinto i rispettivi governi a ripensare la loro strategia sul Ttip. In Belgio, invece, il recente no del Parlamento della Vallonia potrebbe mandare a gambe all’aria l’accordo di libero scambio tra l’Ue e il Canada.

Pubblicato il 

20.10.16
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