Una rendita supplementare nel primo pilastro per compensare la perdita del potere d’acquisto e lottare contro la povertà e, poi, la questione se sia giusto guadagnarsi la pagnotta fino a 67 anni. Unia ha lanciato un sondaggio fra i lavoratori e le lavoratrici in vista delle votazioni del 3 marzo per sentire il loro pensiero. La campagna è ancora in corso, ma hanno già votato in più di mille, con una schiacciante maggioranza che appoggia la tredicesima AVS e respinge l’innalzamento dell’età pensionabile. Ecco il nostro reportage da Airolo. Andiamo sul posto con i sindacalisti di Unia che hanno lanciato la campagna di sensibilizzazione sugli oggetti in votazione il prossimo 3 marzo. È il 7 febbraio e Unia ha promosso un’azione all’Albergo Alpina di Airolo, dove i minatori impegnati nel cantiere del Gottardo mangiano e si trovano i loro alloggi. È mezzogiorno, sono in pausa pranzo, e partecipano con entusiasmo alla votazione, che è ovviamente una simulazione, anche perché la maggior parte di loro non ha diritto di voto. In un’urna improvvisata depositano le loro schede. Nel frattempo «la campagna è ancora in corso e i dati non sono definitivi. Possiamo però senz’altro affermare che ha votato oltre un migliaio di lavoratori, con una schiacciante maggioranza di voto che appoggia l’iniziativa popolare “Vivere meglio la pensione” e che respinge l’iniziativa popolare “Per una previdenza vecchiaia sicura e sostenibile”» ci spiega Dario Cadenazzi, responsabile del settore edilizia di Unia. Noi siamo arrivati ad Airolo, ai piedi del passo del San Gottardo, in una mattina di febbraio orfana di un qualsiasi raggio di sole. Il cielo è grigio e il paesaggio non è propriamente da cartolina: è un viavai di camioncini, edili in tuta arancione ed elmetto. Insomma, un cantiere a cielo aperto. Del resto, qui, è partito uno di quei cantieri che in Svizzera vengono spesso definiti “del secolo” per la loro importanza nelle vie di comunicazione. Eccoli lì, gli uomini che stanno costruendo un’altra opera monumentale per rendere il paese all’avanguardia su scala europea. Sudano, patiscono il freddo e il caldo quando la temperatura della roccia può arrivare a 45 gradi, scavano nelle viscere della terra di notte e di domenica, sono talpe che possono vedere ciò che hanno di fronte al naso solo grazie alla luce artificiale, incontrano la famiglia poche volte all’anno e rischiano la pelle. No, decisamente, non è mestiere per tutti. Senza il loro lavoro, ci sogneremmo il monumentale secondo tubo della galleria stradale del San Gottardo voluto dal popolo in votazione e che, ci dice Gianluca Bianchi, responsabile Unia del cantiere di Airolo, dovrebbe essere pronto per il 2030 sulla carta, ma i tempi probabilmente slitteranno. Intanto, si avvicinano le votazioni che li toccano da vicino: che cosa ne pensano? Raffaele sta preparando la sua scheda e gli chiediamo che idea si è fatto degli oggetti in votazione. «Io sono svizzero e voterò materialmente con un chiaro sì alla tredicesima AVS e un deciso no all’innalzamento a 67 anni dell’età pensionabile. Ma qui stanno impazzendo tutti? Io ho quasi 60 anni, è 43 anni che faccio questo lavoro e, volendo, potrei lavarmene le mani, perché fra qualche mese sarò a casa, ma non è giusto mandare la gente in pensione più tardi fino al loro ultimo respiro. Gli edili vanno in pensionamento anticipato, ma se l’iniziativa dovesse passare, anche il nostro settore subirebbe un aumento verso l’alto e non è sopportabile per chi fa il minatore». Accanto all’uomo che è un fiume in piena, c’è Luca, il suo terzogenito di 24 anni. Meno esuberante nel modo di esprimersi, ha però le idee in chiaro: «Viviamo a Neuchâtel e io, a differenza di mio padre, almeno per altri otto anni sarò impiegato in questo cantiere. Sì, è molto duro, perché ti isola dagli affetti e dagli amici. Stare sottoterra non è facile: oltre a essere una fonte di stress psicologico non indifferente, perché si è continuamente esposti al pericolo, e lo sai, si deve convivere con un carico mentale non indifferente dovuto ai turni notturni, a un ambiente di lavoro che ti costringe a vivere fuori casa con maggiori difficoltà a vivere i rapporti sociali. Per la nostra categoria, che è manodopera altamente specializzata, per sopportare la durezza delle nostre vite e vedere un futuro che ci permetta di resistere, è necessario sapere di poter contare su una buona rendita pensionistica e su un limite d’età oltre al quale non si può andare». Quale credete sarà l’esito delle votazioni? Raffaele laconicamente si limita a «un speriamo bene, anche se il problema saranno gli svizzeri tedeschi: hanno una mentalità dura a comprendere i problemi di chi non ha le loro condizioni di benessere, che non sono uguali in tutta la Svizzera. Così facendo, però indeboliscono il paese, perché se tutti stanno bene, c’è più stabilità e sicurezza. Vaglielo a farglielo capire… Finché hanno le spalle coperte, non vedono e non sentono, ma la manna potrebbe terminare anche per loro. Trovo giusta questa iniziativa di Unia, perché aiuta a sensibilizzare sui posti di lavoro: c’è gente che non si interessa alla politica e così non difende i propri diritti». All’Hotel Alpina, l’albergo acquistato dal Comune di Airolo che lo ha ristrutturato e ora è adibito ad alloggio e mensa per la manodopera impiegata nella costruzione della galleria, incontriamo anche Riccardo, 30 anni, calabrese, sprizza scintille da ogni poro: «Ci vogliono far lavorare di più e pagare di meno. Ma tu lo sai i sacrifici che io faccio? Ho un bambino di due anni e l’ho visto cinque volte da quando è nato». Gianluca Bianchi ci fa notare che questo è un altro tema importante: «Per la questione dei turni, che sono distribuiti 24 ore al giorno per sette giorni, non tutti riescono a tornare a casa spesso. La tipologia del minatore è cambiata: se la vecchia immagine ce lo fa ricordare orgoglioso con la cintura simbolo con i martelli incrociati, che rappresentava l’essenza della sua vita, ora vuole essere anche marito e padre. Sono cambiati i ruoli e gli uomini rivendicano un altro spazio, che non è più limitato al solo mantenimento delle famiglie: desiderano farne parte. Ci sono uomini che hanno vissuto decenni lontani dai loro paesi e dalle loro case, al momento della pensione, rientrati, si sono trovati in famiglie sconosciute e a pezzi. C’è una trasformazione della società e dei ruoli genitoriali, cui non intendono rinunciare. Il lavoro è sopportabile se sai che puoi vivere ancora degli anni con i tuoi affetti, nei tuoi luoghi, dopo la fine dell’attività professionale anche perché non c’è il rischio zero, data la pericolosità del mestiere». Domenico ha 58 anni e una vita professionale a intermittenza in Svizzera. Ora sta partecipando ai lavori preparatori con la creazione dei cunicoli secondari e della trincea d’appoggio per l’introduzione della fresa meccanica, che permetterà l’inizio del traforo e la creazione della galleria. «Sto seguendo con interesse il dibattito sulla tredicesima e sono turbato da questa idea di continuare ad alzare l’asticella pensionabile: vogliono farci lavorare fino all’ultimo giorno di vita? Non abbiamo diritto ad altro, se non a lavorare? Io non mi lamento, è un mestiere duro e l’ho scelto prima per dare un futuro ai miei figli e ora per garantirmi una vecchiaia serena. È tutta la vita che faccio sacrifici, ho 58 anni, fino a quando resisto continuo a fare il minatore, ma non metto a repentaglio la mia salute. Se passasse l’età pensionabile a 67 anni, immagino che metterebbero in discussione anche il nostro prepensionamento a 60 anni: ed è folle immaginare che una persona possa andare oltre questa età in un’attività tanto pesante e pericolosa. Io non ci sto». Domenico si confida, ci parla della sua vita («mia moglie è morta tre anni fa, dandomi la consapevolezza che non c’è certezza di futuro»), delle sue soddisfazioni («i miei tre figli sono laureati »), ma anche della solitudine («alla sera mi chiudo in camera e vado a dormire presto, perché il sonno in questo lavoro è decisivo e poi non ho molti colleghi con cui riuscire a fare belle discussioni»). E delle contraddizioni del sistema pensionistico: «È una vita che faccio avanti e indietro fra Italia e Svizzera. L’ultimo grande cantiere cui ho partecipato è stato quello di AlpTransit, dopodiché sono stato lasciato a casa e non mi è stata concessa la disoccupazione, perché “il mio centro d’interessi” era altrove, anche se lavoravo per la Svizzera. Ora, sono stato richiamato, ho un contratto con un’agenzia, che si trattiene parte del mio stipendio, un permesso L e la sicurezza che a 60 anni io in prepensionamento non posso andarci per legge, dal momento che devi avere fatto sette anni consecutivi di lavoro per avere il diritto. Ma se mi assumete, mi licenziate, mi riprendete, certo che ho i buchi… E tutto questo sulla pelle dei lavoratori non è giusto, è disumano. Spero che chi arrivi dopo di me possa conquistare più diritti e maggiori garanzie pensionistiche. Io non posso votare, che gli svizzeri lo facciano per sé stessi e per le generazioni future». |