Per il sindacato Unia quello appena iniziato è un anno speciale: l’organizzazione, frutto della fusione tra SEI, FLMO e FCTA decretata dal congresso fondativo di Basilea del 16 ottobre 2004, compie vent’anni. Un traguardo importante che verrà sottolineato con una serie di iniziative durante tutto il 2025 (tra cui anche un libro) ma che è anche un’occasione per analizzare quanto fatto e realizzato e per gettare uno sguardo alle sfide future del movimento sindacale. Cominciamo l’esercizio con una chiacchierata a tutto campo con la presidente Vania Alleva, che si sofferma anche sulle principali battaglie di stretta attualità.

 

Vania Alleva, in tre parole, cosa significa per lei Unia?

Uniti siamo forti!

 

Unia compie vent’anni: ormai è un soggetto adulto, che lei ha visto crescere sin da “bambino”. Guardando indietro di cosa va particolarmente fiera?

Sono fiera della capacità di Unia di riunire molte persone, insieme alle quali possiamo realizzare buone cose. E di tutte le idee, le esperienze e le speranze che i nostri collaboratori e tantissimi lavoratrici e lavoratori apportano per lottare insieme per una Svizzera migliore e per un mondo migliore, così come di quell’energia positiva a cui tutti noi possiamo sempre attingere.

Questa è la base del nostro successo: nonostante i forti venti contrari sul piano ideologico, abbiamo esteso i contratti collettivi di lavoro in Svizzera: oggi sono 1,2 milioni le lavoratrici e i lavoratori che beneficiano di un CCL di obbligatorietà generale, il triplo rispetto a quelli degli anni precedenti la nascita di Unia. E ben 1,9 milioni sono protetti da salari minimi nei CCL. Stiamo raggiungendo un numero sempre maggiore di donne e siamo entrati in rami professionali che erano dei deserti sindacali come quelli del commercio al dettaglio, delle cure e delle pulizie. Veniamo rispettati, anche perché siamo in grado di organizzare scioperi di successo quando è necessario: nell’edilizia, ma anche nell’industria e nei servizi. E siamo pure in grado, in un paese dominato da forze borghesi, di costruire maggioranze politiche, come quella che ha portato alla vittoria dell’iniziativa per una 13esima AVS. Possiamo essere davvero orgogliosi di tutto questo!

 

E quali eventi preferirebbe dimenticare?

Il mondo a volte è difficile e fa arrabbiare. Come quando una maggioranza di uomini (e con soli 30.000 voti di scarto) decide l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne (nella votazione su AVS 21 del settembre 2022, ndr). Ma queste sconfitte non possiamo permetterci di dimenticarle, perché da esse dobbiamo imparare per migliorarci e guardare meglio avanti. La rimozione è un lusso che non ci è consentito.

 

Quali ostacoli e preoccupazioni si sono dovuti superare per la fusione tra i sindacati da cui è nata Unia?

Il proverbio “l’unione fa la forza” non vale solo per i singoli lavoratori, ma anche per le organizzazioni sindacali. Vent’anni fa, i sindacati che ci hanno preceduto capirono che, per costruirsi in un settore in forte crescita come quello dei servizi, il movimento sindacale doveva unire le forze e superare la contrapposizione e talvolta la competizione che c’era tra SEI, FLMO e FCTA, tra cui esistevano anche differenze di natura politica e ideologica. Ciononostante hanno deciso di fondersi, il che è stato possibile soprattutto perché la base delle due principali forze, SEI e FLMO, ci credeva fortemente nel fatto che insieme si ottiene di più.

Dopo la crisi degli anni 90, l’obiettivo era quello di dare vita a un’organizzazione forte, a un “sindacato per tempi difficili” che fosse in grado di organizzare azioni di sciopero, referendum e iniziative. Una capacità che abbiamo ripetutamente dimostrato, anche in collaborazione con l’Unione sindacale svizzera (USS) e che ci rende un attore influente nel panorama economico e politico svizzero.

 

Come è nato il logo? E questa “i” è davvero un 1?

Anche dopo tutti questi anni, continuo a pensare che il nostro nome e il nostro logo siano fantastici. Ma all’epoca vi fu una grande discussione. Il nome del nostro sindacato deriva dalla “piccola Unia”, che era stato il primo progetto di sviluppo nel settore dei servizi portato avanti congiuntamente da SEI e FLMO. La ripresa del nome per la grande Unia simboleggia la speranza e la volontà di essere attivi e con successo in questi settori. Il nome riflette bene il senso e lo spirito di quella fusione. L’1 nel logo a simboleggiare una “i” è un gioco di parole che richiama l’idea di “unità”, che “Unia è una”.

 

Lei è diventata copresidente nel 2012 ed è stata la prima donna a diventare presidente nel 2015. Per molto tempo i sindacati non sono stati tanto progressisti in materia di parità. Questo ha avuto e ha un impatto anche sul suo lavoro?

Unia è diventata più femminile grazie alla sindacalizzazione del settore dei servizi. Il fatto che io sia riuscita a diventare presidente è anche un’espressione di questo cambiamento: Unia era matura per una donna al vertice. Direi addirittura che l’organizzazione ne era orgogliosa. Non solo le donne, ma anche gli uomini.

All’esterno, sono stata confrontata con modi comportamentali maschilisti, soprattutto in situazioni di negoziazione con i datori di lavoro, che tendevano a sottovalutarmi. È stato importante non lasciarsi impressionare. I datori di lavoro hanno dovuto capire in fretta che essere cordiale nei rapporti interpersonali, non significa essere meno dura e determinata nella lotta per la difesa degli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

 

Unia è oggi il più grande sindacato interprofessionale del Paese. Vorrebbe diventare ancora più grande ed entrare in nuovi settori professionali?

È chiaro che come Unia vogliamo crescere. Non vogliamo limitarci a gestire ciò che abbiamo realizzato. Vogliamo che il maggior numero possibile di lavoratori di ogni settore si iscriva al sindacato: più siamo grandi, più siamo forti e più possiamo far valere gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori. E non si tratta solo del numero di associati, ma anche di costruire rapporti di forza favorevoli. Dobbiamo perciò agire con un approccio mirato e focalizzato. Dobbiamo guadagnare soprattutto nel settore dei servizi, in particolare nel ramo delle cure e dell’assistenza, un ambito in crescita e sempre più importante sul piano sociale e politico.

 

Come sono oggi i rapporti con un’organizzazione sindacale cristiana come Syna, con cui in passato ci sono sempre stati conflitti?

Attualmente collaboriamo in modo eccellente e questo è un fatto positivo. Sappiamo che abbiamo solo da perdere se non riusciamo a formulare posizioni comuni. Questo vale sia per le negoziazioni sui CCL, sia per le campagne sindacali che per le questioni politiche. È per esempio fondamentale fare fronte comune ed essere compatti nel difendere la protezione dei salari nel quadro dell’attuale dibattito sugli Accordi bilaterali III tra Svizzera e UE.

 

A parte alcune eccezioni, i sindacati stanno perdendo iscritti ovunque, nonostante le condizioni di lavoro siano sempre più difficili. Come si spiega questo fenomeno? E come si può invertire questa tendenza?

Viviamo in una società segnata dall’individualizzazione e dalla digitalizzazione. Ma per impegnarsi in un sindacato è necessario essere convinti che i lavoratori possano ottenere miglioramenti solo insieme. Una convinzione però tutt’altro che scontata. E non so se questa tendenza della società possa essere invertita. Qui e là nascono movimenti di opposizione. Per noi è fondamentale rendere la solidarietà collettiva un’esperienza tangibile, anche su piccola scala. È decisivo. È la nostra forza.

 

Quali sono le altre sfide?

Sono le grandi questioni sociali che preoccupano le persone: in Svizzera, negli ultimi anni i salari, in termini reali (tenuto conto cioè dell’inflazione), sono diminuiti. Mentre le retribuzioni più elevate e i redditi da capitale continuano a crescere. Questo non è un male solo per i lavoratori, ma anche per l’economia. Ed è negativo per la coesione sociale. La disuguaglianza sociale è un pericolo per la democrazia. Lo si vede anche guardando oltre i nostri confini. È pericoloso quando le élite finanziarie (persone come Blocher o Musk) possono comprarsi il loro potere politico e, come nel caso di Musk, fare campagna per un rafforzamento dell’estrema destra in tutto il mondo. A tutto ciò dobbiamo opporci con determinazione.

 

Torniamo alla Svizzera. Ci sono differenze tra la Svizzera tedesca e quella latina?

Certo, ci sono differenze sociali ed economiche nel Paese. Ma fondamentalmente la questione dell’equilibrio e della giustizia sociale si pone ovunque. Differenze reali ci sono soprattutto nei cantoni di confine. Nella Svizzera latina c’è una tradizione sindacale più forte e una maggiore capacità di mobilitazione, il che è molto importante anche per le campagne nazionali. Siamo orgogliosi di questo.

 

Dove sarà Unia tra 20 anni?

È un sindacato in crescita, forte e combattivo per tutti i lavoratori del settore privato. Abbiamo fatto progressi nel settore dei servizi e fatto valere gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori.

 

E guardando un po’ meno lontano nel futuro: cosa c’è in agenda per il 2025?

Dobbiamo difendere i contratti collettivi di lavoro dai feroci attacchi del padronato. Quest’anno, in particolare, il Contratto nazionale mantello dell’edilizia principale. Qui siamo confrontati con le posizioni fortemente ideologiche dei vertici degli impresari costruttori. Ma ci stiamo mobilitando anche su altri fronti per ottenere progressi nelle condizioni di lavoro e nei salari, ad esempio nel più grande contratto, quello del ramo dell’industria alberghiera e della ristorazione.

A livello politico, dobbiamo lavorare per sconfiggere la demagogica iniziativa dell’UDC “No a una Svizzera da 10 milioni”, che mira ad abolire la libera circolazione delle persone e la tutela dei salari. Una proposta inaccettabile che attacca direttamente i lavoratori di questo Paese!

E la protezione dei salari non deve essere sacrificata, in nessun caso, nemmeno sull’altare degli accordi bilaterali con l’UE. Stiamo per questo lottando per garantire che il principio di “stesso salario per lo stesso lavoro nello stesso luogo” venga effettivamente applicato.

Dobbiamo anche superare l’ostruzionismo contro una migliore protezione dai licenziamenti: o nel quadro del dibattito in corso sugli Accordi bilaterali III o con l’iniziativa popolare che abbiamo già deciso.

Ci stiamo inoltre preparando a battaglie difensive di grande portata. In seguito alle nostre vittorie sulla 13esima AVS e sulla riforma della previdenza professionale il vento contrario è molto più forte e gli attacchi sono violenti. Lo stiamo sperimentando anche nel contesto del dibattito sull’Europa, in cui i rappresentanti più ideologici del padronato cercano di indebolirci. Oppure in Parlamento, dove fioccano mozioni e iniziative per minare la legge sul lavoro o per abolire i salari minimi legali.

Il fatto che rappresentiamo coerentemente gli interessi delle lavoratrici e dei lavoratori è ovviamente una spina nel fianco per alcuni. Anche questo dimostra che siamo sulla strada giusta.

Pubblicato il 

23.01.25
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