Valsoda, storie di confine

San Mamete, frazione di Valsolda, comune italiano sulle rive del Ceresio (a pochi chilometri da Lugano) vive principalmente di frontalierato.

Appena passato il valico svizzero di Gandria, il paesaggio cambia: le strade sono più strette e malmesse, con le barriere ai lati ammaccate e storte, e la segnaletica è un po' carente. È la statale regina, una strada percorsa ogni giorno da molti frontalieri che dalla provincia di Como vanno a lavorare in Ticino. Una strada con molti problemi di viabilità, che lo Stato italiano promette da anni di aiutare a risolvere, ma sulla quale, di fatto, i frontalieri (e non solo) si trovano spesso bloccati per ore in colonna.
Percorrendo la statale regina, concentrati sulla guida e attenti a non ammaccare l'auto o fare un frontale con un bus che arriva in senso inverso, regolarmente "tampinati" da chi conosce la strada e vorrebbe viaggiare più velocemente, può succedere di non accorgersi dei bellissimi paesaggi che si stanno attraversando. Come i piccoli borghi pittoreschi del comune di Valsolda, ad esempio. San Mamete, affacciato sulle rive del Ceresio, è uno di questi borghi. Lì si trova la sede del comune, dove area ha incontrato il sindaco, Alberto De Maria.
Cresciuto in Valsolda, De Maria ne conosce bene la storia e spiega come un tempo la gente di lì vivesse di agricoltura. Una vita dura, anche a causa delle caratteristiche morfologiche della regione: una zona molto ripida e difficile da coltivare. Questo ha spinto molti valsoldesi ad emigrare, soprattutto in veneto, Austria e Polonia. «Chi ne aveva la possibilità emigrava e questo ha impoverito la regione di menti e di braccia. I più furbi se ne andavano a fare fortuna all'estero, soprattutto i giovani, e qui restavano perlopiù i vecchi e i meno intrapprendenti», racconta il sindaco. Dopo la seconda guerra mondiale, i giovani che emigravano dalla Valsolda hanno iniziato a trasferirsi soprattutto in Svizzera interna, alcuni di loro sono riusciti a creare delle attività in proprio, nelle quali chiamavano a lavorare i propri compaesani. Così la regione continuava a spopolarsi.
È solo dopo gli anni cinquanta che anche il Ticino è diventato interessante come meta lavorativa per gli italiani (prima anche i ticinesi emigravano in cerca di lavoro). «Trovando lavoro in Ticino, le nuove generazioni hanno potuto restare in Valsolda a vivere, facendo i frontalieri -prosegue De Maria - Oggi l'economia di questo comune è basata sulle entrate di chi lavora all'estero: l'indotto generato dai frontalieri è il solo introito sul quale il comune può investire per le opere pubbliche». A detta del sindaco, tutte le nuove costruzioni e le ricchezze provengono da chi ha lavorato all'estero, soprattutto i frontalieri, che hanno continuato a risiedere in Valsolda. «La nostra debolezza è data dall'incapacità d'investimento del comune per recuperare il ritardo che c'è. Abbiamo iniziato a fare promozione turistica, ma dobbiamo anche avere i soldi per ristrutturare e valorizzare il patrimonio paesaggistico che abbiamo», spiega De Maria.
Il rischio per un comune che vive di frontalierato è che si trasformi in un "comune dormitorio", dove di giorno non s'incontra anima viva (essendo tutti al lavoro in Svizzera) e dove aprire un'attività in loco è meno conveniente che farsi dieci chilometri tutti i giorni per ricevere un salario in franchi. Per fortuna a San Mamete non è così e c'è anche chi ha deciso di restare o tornare a lavorare qui (vedi articoli ai lati), anche se De Maria stima attorno al 70 per cento la forza lavoro che si reca ogni giorno in Svizzera.
Lavoratori che sono confrontati quotidianamente con il grosso problema della viabilità sulla statale regina. «Dopo più di vent'anni dall'inizio dei lavori, dovrebbero finalmente finire la galleria, che risolverebbe i disagi dovuti al traffico – spiega De Maria – Galleria che porterà anche dei cambiamenti, perché quasi più nessuno passerà sulla strada di adesso. Ad esempio, il panettiere che oggi vende il pane ai frontalieri che passano da San Mamete alla mattina, dovrà trovare il modo per attirare comunque la clientela, che non passerà più di fronte alla sua bottega, ma sarà in galleria».
E in un comune che vive di frontalierato, non si poteva non chiedere com'è stata vissuta la campagna Balairatt. Secondo il vicesindaco Franco Lamberti «la prima reazione è stata piuttosto violenta, in molti si sono sentiti offesi. Ma poi hanno capito che era un'iniziativa di un piccolo gruppo e che il resto della popolazione svizzera lo ha condannato, quindi il tutto si è smorzato. I giornali ne hanno parlato molto, ma la gente non voleva ingigantire la cosa». La stessa risposta la danno le altre persone incontrate a San Mamete: l'indignazione e l'offesa iniziale sembrano aver lasciato il posto a una risata dopo aver capito chi aveva lanciato la campagna, ma soprattutto dopo la presa di posizione delle autorità elvetiche, che hanno preso distanza dall'iniziativa e l'hanno condannata. C'è però anche chi, pur non drammatizzando, si chiede come quei manifesti abbiano potuto ricevere l'autorizzazione a essere esposti nelle strade.


Ma la Svizzera non è sempre verde

In Valsolda quasi tutti hanno fatto i frontalieri almeno per un po', ma qualcuno, per necessità o per sfida, ha poi deciso di provare ad aprire un'attività in paese. È il caso di Michele Milesi.

Michele Milesi, nato e cresciuto in Valsolda è falegname. Ha seguito l'apprendistato in Svizzera, dove ha lavorato come frontaliere per undici anni, ma da diciannove gestisce la sua falegnameria a San Mamete.
«Ho sempre voluto fare il falegname, lo dicevo già da bambino, ed è quello che ho fatto», racconta Michele mentre mostra fiero la sua falegnameria. «Oggi è bella in ordine, perché stiamo per ricevere dei nuovi macchinari e abbiamo fatto posto – spiega – Oramai, per adattarsi alle norme europee bisogna fare degli investimenti, speriamo ne valga la pena. Questa macchina ad esempio sarà sostituita con una tutta computerizzata, mi vien già male a pensarci, chissà quanto tempo ci perderò per imparare ad usarla», dice ridendo. Ha lavorato diversi anni in Ticino: «ho girato diverse falegnamerie in Svizzera, e credo che se dovessero applicare queste norme e avessero gli stessi controlli, molte si troverebbero in difficoltà».
La falegnameria di Michele fa parte dell'impresa di famiglia, una ditta edile alla quale è stata aggiunta nel '92. «Ho fatto l'apprendistato in Ticino, con l'intenzione di lavorare là. Ma con la crisi dell'inizio degli anni novanta sono rimasto a casa, e così ho deciso di provare a mettermi in proprio qui a San Mamete». Come vanno gli affari? Il lavoro per Michele non manca «vado un po' dappertutto nella regione, non faccio lavori solo in Valsolda», spiega. Fa anche qualche lavoro in Svizzera, ma non sembra che la cosa lo entusiasmi più di tanto: «non ci tengo molto ad andare a lavorare di là, prima di tutto perché ti guardano male. Poi, essendo da solo (ha solo un apprendista – ndr), faccio già fatica a star dietro al lavoro che ho in zona, senza bisogno di andare in Svizzera», dice.
Un altro aspetto che gli fa perdere l'entusiasmo per i lavori oltre confine, a parte la trafila burocratica da seguire, è la pretesa dei prezzi bassi che hanno i clienti: «magari ti chiamano perché pensano che essendo in Italia sei più buon mercato. Ma non pensano che se io vado a fare un lavoro in Svizzera sono obbligato a non scendere sotto un certo prezzo, per via della concorrenza con i falegnami svizzeri. A questo si aggiungono le spese doganali, e alla fine il cliente si arrabbia perché non risparmia come pensava. Insomma, se fai i prezzi bassi ti guardano storto i colleghi svizzeri, se li alzi si arrabbiano i clienti, e allora preferisco lavorare in Italia».
Pensando al futuro, Michele si augura che l'impresa edile (che compie cinquant'anni) possa continuare ad esistere, assieme alla sua falegnameria. Non sa se suo figlio, che oggi ha solo cinque anni, vorrà seguire le sue orme, spera di sì.
Per ora c'è il nipote che mostra interesse per la professione «chissà, spero che sia vero e che un domani possa portare avanti tutto questo, per non lasciarlo cadere nel vuoto. Sarebbe bello vedere che l'impegno e le fatiche che ci sto mettendo possano avere un seguito anche dopo di me».

Pubblicato il

05.11.2010 02:00
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