Dopo un anno e mezzo di latitanza la premier Giorgia Meloni è tornata in Parlamento per rispondere alle domande dei senatori a cui ha concesso ben 90 minuti del suo tempo prezioso. Deve ritenere il Parlamento un’aula sorda e grigia anche se non può dirlo con queste parole che rimanderebbero inevitabilmente a Benito Mussolini e alla costruzione di una dittatura ventennale. Con una narrazione tossica ha rappresentato un paese da sogno dove tutto va bene e tutto andrà ancora meglio quando finalmente sarà varata la legge (anti)costituzionale che dovrebbe introdurre il presidenzialismo. Legge poi sottoposta a referendum e qualora venisse bocciata dai cittadini lei resterebbe al suo posto e non si dimetterebbe come aveva fatto Matteo Renzi dopo la bocciatura della sua riforma (anti)costituzionale. Lei, sola con i due paggetti Salvini e Tajani che le reggono la coda e si beccano come i polli di Renzo nei Promessi Sposi, sta pensando a ricandidarsi alla scadenza della prima legislatura dell’era neofascista italiana. Sogna il ventennio? Tutto va bene, sbraita, in economia, dove invece le bollette e l’inflazione crescono e i salari scendono, dove i contratti pubblici e privati non si rinnovano, dove muoiono tre lavoratori al giorno, sempre di più, dove la cassa integrazione ha raggiunto cifre inedite così come la precarietà del lavoro. Unica novità, Meloni ha deciso di dedicare qualche minuto del suo tempo prezioso all’ascolto delle richieste sindacali in materia di sicurezza sul lavoro; la premier ascolta poi fa quel che le pare, non prima di aver lanciato l’appello a un improbabile patto tra governo, sindacati e imprese sulla sicurezza nel lavoro. Prosegue l’affondo di Meloni: tutta l’industria importante, a partire dall’auto e dalla siderurgia, è al collasso? La colpa è di Bruxelles e della stramaledetta transizione ecologica che va fermata, e avanti a tutto gas. Le code nelle liste d’attesa sono più lunghe di quelle dei pellegrini in visita alla tomba di Francesco? Tutta colpa delle regioni. Ma per fortuna tutto va bene, insiste stizzita Meloni, perché con me al comando c’è un milione di posti di lavoro in più. Precari? A tempo determinato? A salari bassissimi? Falcidiati dalla cassa integrazione? Ma quante ne vogliono queste opposizioni, quante pretese hanno i sindacati (CISL a parte). Godetevi il nuovo miracolo italiano e non rovinate il sogno degli italiani. Sul resto Giorgia Meloni è quella di sempre con il piede in due staffe, con l’amica Von der Leyen e soprattutto con l’amico Donald. Silenzio assordante sul genocidio dei palestinesi perché Israele ha il diritto di difendersi. Parolone sul sostegno all’Ucraina ma senza offendere l’amico Trump che sta costruendo la pace in quel paese martoriato dalla guerra. L’Europa ha un futuro solo in braccio agli Stati uniti che l’amico tycoon sta riportando al suo antico splendore, così l’Occidente unito potrà sconfiggere tutti i barbari, russi cinesi islamici e pure i Brics. Però “la difesa ha un prezzo” e dobbiamo pagarla: investiremo dall’1,5 al 2% del pil, solo per cominciare e tener buoni Trump e la NATO, ma è solo una rata perché ci chiedono molto di più e hanno le loro buone ragioni. Naturalmente soldi, generali, missili, droni, cannoni servono per garantire la pace mica per fare la guerra. Per grazia ricevuta dalle opposizioni A questo punto una domanda è d’obbligo: come mai in una situazione così pesante, con la povertà che aumenta così come le ingiustizie sociali, come mai una presidente che invece di combattere la povertà combatte i poveri, i migranti, gli oppositori, la libera informazione, i movimenti sociali, come mai Giorgia Meloni continua a raccogliere il 30% dei consensi? Per grazia ricevuta, non dallo Spirito Santo e tantomeno da Bergoglio sulla cui tomba ha versato lacrime di coccodrillo insieme ai suoi sodali sovranisti e guerrafondai. La grazia la riceve giorno dopo giorno dalle opposizioni, divise, in qualche caso addirittura integrate nella maggioranza come sempre più spesso capita con Calenda (e come la CISL sul versante sindacale). Prendiamo quello che dovrebbe essere l’asse portante di un fronte democratico, il PD. La segretaria sta con la CGIL sui referendum sul lavoro? L’ala si fa per dire moderata è contro e lo rivendica. Logico, il jobs act che i referendum vorrebbero superare è targato PD, segretario Renzi. La segretaria attacca giustamente Meloni per il silenzio sul genocidio di Gaza? Una bella fetta di gruppo dirigente presente e passato ha fondato la lobby “Sinistra con Israele” che neanche a dirlo ha diritto di difendersi costi quel che costi. Elly Schlein critica il riarmo paese per paese? I suoi dirigenti armaioli si distinguono e mettono mano alla colt. Elly Schlein attacca il governo sulla gestione dei migranti e sui favori ai tagliagole libici? Ma a fare gli accordi criminali con la Libia è stato proprio il PD al tempo di Minniti. A questo punto, la seconda domanda è pleonastica, l’interrogativo retorico: perché gli italiani, soprattutto quelli con una storia di sinistra, non vanno più a votare e la partecipazione è un ricordo del passato? Grazie alle regole che il Partito democratico si è dato per le primarie, Elly Schlein è stata eletta segretaria, ma solo per la robusta partecipazione dei non iscritti perché i militanti avevano scelto Bonaccini, oggi leader dei contestatori della segretaria. Forse Schlein, con un atto di coraggio, approfittando dell’entusiasmo che la sua elezione aveva suscitato, a costo di rischiare la sconfitta avrebbe dovuto indire subito un congresso straordinario per chiedere al corpo del partito una fiducia che le urne da sole non le avevano dato. Poteva perdere il congresso, certo, ma non si può fare una frittata senza rompere le uova. Forse era quella la condizione per segnare una discontinuità netta con la storia del partito, la discontinuità per la quale Elly Schlein si batte, con risultati oggi non certo esaltanti. |