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Usa, almeno in Kosovo qualcuno li ama
di
Enrico Ärmlein
Pristina, 10 maggio 2003 I Kosovari di etnia albanese hanno seguito con molto interesse l’attacco degli Stati Uniti d’America e dell’Inghilterra all’Iraq, anche se ad interessarli in particolare è stato ed è il dopo guerra. Al centro di Pristina si sono tenuti vari meeting ed incontri in favore della politica americana. Gli Stati Uniti erano sostenuti da tutta la popolazione di etnia albanese. Enormi tabelloni pubblicitari annunciano le feste americane, alcuni alberghi e ristoranti ora portano nomi come: Clinton, Bill, Liberty, New York ecc. All’uscita della città vicino alla stazione degli autobus all’ultimo piano di un albergo è stata posta la statua della libertà Americana. Questi sono alcuni segnali rivelatori della percezione del mondo americano da parte dei Kosovari di etnia albanese. Il Decano della facoltà filologica all’Università di Pristina Selim Daci è stato molto chiaro in merito a questo conflitto: «la guerra contro l’Iraq è una delle tante guerre che gli Stati Uniti d’America stanno portando a termine per liberare la gente dalla schiavitù». Anche la sociologa Hamide Selimi è dell’avviso che bisognava sostenere gli Usa in questa guerra. Secondo lei la guerra era giusta perché bisognava liberare l’Iraq da Saddam Hussein, un dittatore terribile. «Noi intellettuali albanesi saremo sempre riconoscenti e grati per quanto gli Usa hanno fatto per noi. Hanno sostenuto e aiutato a liberare il popolo albanese», dice ancora la sociologa. Elbasan Morina, uno studente di scienze politiche al primo anno, sottolineava prima della guerra come questa avrebbe potuto portare molto ai giovani iracheni: «sì, magari alcuni moriranno ma la liberazione sarà una vittoria soprattutto per i giovani iracheni. Infatti essi potranno iniziare a costruire un Paese migliore». Ci sono tantissimi motivi per essere dalla parte degli americani, questo era il succo che si poteva leggere direttamente o tra le righe di molti giornali e quotidiani locali. «L’Iraq stesso potrà approfittare della caduta del dittatore, che ha oppresso il proprio popolo per troppi anni», questo il titolo di un quotidiano albanese. Il sostegno proveniva da tutta la popolazione albanese in Macedonia, Albania, Kosovo, Serbia e Montenegro. Ma soprattutto dai Kosovo-Albanesi che rimarranno sempre dalla parte degli Usa: nella ristrutturazione dell’Uçk in Tmk gli Stati Uniti, con l’importante figura del Generale Wesley Clark, hanno giocato infatti un ruolo importantissimo. «Ancora oggi gli Usa investono molto in questa regione dei Balcani», commenta un giornalista di Bota Sot. I Serbi della regione si sono schierati invece dalla parte opposta, contro la guerra all’Iraq. Molti vedevano nella guerra i ricordi dell’attacco Nato contro la propria etnia. «È terribile quello che sta succedendo in Iraq, moriranno troppe persone e alla fine non ci sarà nessun cambiamento», ci diceva Sonja, una serba che vive in una enclave nei pressi di Pristina. Tutti i Serbi incontrati erano contro questa guerra «inutile e imprevedibile». E tutto ciò mentre la comunità internazionale, secondo alcune fonti diplomatiche e dell’Onu, sembrava stesse valutando la possibilità di creare una specie di “mandato Kosovaro” anche in Iraq. Tra le varianti proposte al Consiglio di sicurezza, vi sarebbe stata quella di mandare le truppe della Nato che fungessero da garanti per la ricostruzione del paese. Intanto, mentre la guerra e la guerriglia procedeva e le discussioni non portavano purtroppo molto avanti il Kosovo, le due comunità, anche in questa occasione, non sembravano riuscire a trovare un minimo di compromesso.
Pubblicato il
16.05.03
Edizione cartacea
Anno VI numero 20
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