Uno sciopero più che mai necessario

A 32 anni dal primo storico sciopero femminista che il 14 giugno 1991, nel Paese della pace del lavoro, vide centinaia di migliaia di donne fermarsi e scendere in piazza per affermare i loro diritti e dar vita così alla più grande mobilitazione pubblica dopo lo sciopero generale del 1918 e a quattro anni dalla grandiosa protesta del 2019, è stato necessario indire un nuovo sciopero delle donne, che si terrà il prossimo 14 giugno.

Necessario poiché la parità fra uomo e donna, iscritta nella Costituzione federale dal 1981, è lungi dall’essere realizzata, la discriminazione (nelle sue varie forme) delle lavoratrici persiste e la situazione finanziaria e sociale delle donne non migliora, anzi per certi versi continua a peggiorare.


Certo, nel corso degli anni, qualche progresso è stato fatto o si sta facendo (si pensi al congedo maternità e paternità, alla soluzione dei termini in materia di aborto, al matrimonio per tutti, al probabile inserimento nella legislazione penale sui reati sessuali del principio “solo sì significa sì” come deciso recentemente dal Consiglio nazionale), ma su tanti altri fronti la situazione non cambia o addirittura peggiora: per le donne conciliare vita privata e lavoro resta complicato, il lavoro domestico e di cura gratuito continua a ricadere soprattutto sulle spalle delle donne e, “naturalmente”, le donne continuano a percepire salari inferiori (particolarmente grave la situazione in Ticino, dove il 31 per cento delle donne impiegate guadagna meno di 4.000 franchi mese), sono le più penalizzate dal carovita e, dulcis in fundo, stanno vedendo la loro situazione pensionistica degradarsi progressivamente.


E proprio sui diritti pensionistici delle donne, il Parlamento federale sta per calare una nuova mannaia: durante l’imminente sessione primaverile delle Camere sarà con ogni probabilità decisa una riforma della Legge sulla previdenza professionale che consiste in un progetto di ulteriore smantellamento, soprattutto a scapito delle donne che già oggi percepiscono rendite del secondo pilastro inferiori di oltre il 40 per cento rispetto agli uomini. Un progetto, contro cui il movimento sindacale è già pronto a promuovere il referendum, che non dà alcuna risposta ai problemi reali delle pensionate e dei pensionati, confrontati con rendite in caduta libera da oltre un decennio e con la perdita del potere d’acquisto. Ma che anzi li aggrava, visto che il testo sulla via dell’approvazione parlamentare prevede che le lavoratrici e i lavoratori paghino di più in termini di contributi salariali per ricevere poi rendite ancora inferiori. È l’ennesimo atto di arroganza soprattutto nei confronti delle donne, compiuto dalla stessa maggioranza politica borghese che alla vigilia della votazione sulla scellerata riforma AVS 21 dello scorso settembre (che ha portato all’innalzamento da 64 a 65 anni dell’età pensionabile delle donne) prometteva “soluzioni” al problema della discriminazione delle donne proprio nel quadro della riforma del secondo pilastro.


Un atto di arroganza che dimostra quanto sia necessario un nuovo sciopero femminista.

Pubblicato il

16.02.2023 09:35
Claudio Carrer