Per raccontare come intende il mondo su una pagina social Yannick Demaria, che a soli 23 anni è già in Gran Consiglio per la Gioventù socialista, prende in prestito una frase di Enrico Berlinguer: “Se i giovani si organizzano, si impradoniscono di ogni ramo del sapere e lottano (...), non c’è più scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull’ingiustizia”. Eccome se hanno lottato in questo maggio 2024 gli studenti dell’Università di Losanna (UNIL), a più di sette mesi da una guerra che viene già definita genocidio, prima ancora della sentenza della storia, invocando il boicottaggio degli atenei israeliani implicati nella violazione dei diritti umani e, poi, occupando l’edificio di Géopolis per quasi due settimane fino a quando parte delle loro rivendicazioni è stata accolta. E mercoledì 15 maggio, la direzione dell’UNIL con un comunicato stampa ha fatto sapere di accogliere in parte le loro richieste. Il rettorato, pur rifiutando di entrare in materia di boicottaggio accademico, si è assunto l’impegno di creare una cellula di esperti, che valuterà le collaborazioni che l’UNIL ha con istituti israeliani dal punto di vista etico, del diritto internazionale e della libertà accademica. Grazie all’azione del Collettivo Occup’Unil Pal, il rettorato si è ufficialmente impegnato a rafforzare la rete “Scolars at risk” per il corpo studentesco, le ricercatrici e i ricercatori palestinesi. Yannick, tu sei uno studente di italiano e filosofia all’UNIL, e sei stato uno dei protagonisti di questa rivolta, sfociata nell’occupazione. Hai vissuto con gli altri membri del collettivo giorni intensi, ci vuoi raccontare come è andata? La nostra è stata una risposta spontanea doverosa di fronte al massacro in atto nei confronti del popolo palestinese. Sulla scia delle occupazioni nel resto del mondo, iniziate negli Stati Uniti e poi arrivate in Europa, con gli apripista Amsterdam e Madrid, anche in Svizzera ci si è mossi. Le studentesse e gli studenti dell’Università di Losanna sono stati i primi e, a differenza, di altre realtà accademiche nel paese non hanno subito repressione. Il punto di partenza è stato semplice: non vogliamo essere complici e finanziare con i 580 franchi che paghiamo per semestre un genocidio. E perché mai i vostri soldi dovrebbero finanziare quanto sta accadendo nella striscia di Gaza? Che colpa ne hanno le università israeliane? Molte università israeliane svolgono un ruolo di sostegno attivo al governo Netanyahu e al suo esercito, partecipando alla pianificazione, alla propaganda e alla giustificazione dell’offensiva militare nei territori palestinesi occupati. E l’UNIL collabora con alcuni di questi atenei, che violano il diritto internazionale, fatto inammissibile. Che tipo di collaborazioni e che prove avete? Secondo il comunicato stampa della direzione dello scorso 6 maggio, l’UNIL collabora con l’Università ebraica di Gerusalemme per la promozione di scambi tra ricercatori e ha un accordo generale per la mobilità degli studenti. Confermato anche un accordo con l’Ashkelon Academic College e la sua Facoltà di teologia e studi religiosi sempre in ambito di mobilità di professori. Oltre a questi, ci sono almeno sei progetti di ricerca che coinvolgono membri dell’UNIL e partner israeliani: la direzione non ha rivelato i nomi di questi programmi, ma ha affermato che “saranno analizzati”. Il nostro Collettivo ha elaborato in maniera scientifica un documento di 33 pagine, “Rapporto sui legami tra l’Università di Losanna, le università israeliane e il regime israeliano”, consegnato il 13 maggio, nel quale emergono più implicazioni con università che hanno sviluppato collaborazioni con l’esercito, che giustificherebbero il boicottaggio. Con l’accordo parziale raggiunto con il rettorato, abbiamo terminato l’occupazione il 15 maggio, consapevoli che di più non potevamo ottenere, ma soddisfatti per il risultato, per l’unione che si è creata tra di noi e per avere potuto instaurare un dialogo con la direzione. Ovviamente, monitoreremo le azioni dell’UNIL e, se dovesse essere il caso, riscenderemo in campo. La mobilitazione, partita da Losanna, si estesa nel resto della Svizzera, chiedendo non più soltanto un cessate il fuoco a Gaza e l’interruzione delle relazioni accademiche con Israele, ma interrogandosi pure sulla libertà d’espressione e sul diritto di manifestare nel nostro paese. Le occupazioni dei collettivi studenteschi a sostegno della Palestina sono stati organizzati, oltre che da Losanna, anche da Ginevra, Zurigo, Basilea, Neuchâtel, Berna e Friborgo, dove però è stato denunciato un atteggiamento repressivo delle università, che hanno ordinato sgomberi e assunto posizioni di condanna nei confronti delle manifestazioni pacifiche. Se nel caso dell’Università di Losanna è stato possibile – anche se non senza minacce di querela in caso di manifestazioni recidive – raggiungere un accordo per la creazione di una commissione che valuti le collaborazioni in essere, lo stesso non si può dire delle altre università che hanno sperimentato le proteste degli studenti. Al Politecnico di Zurigo, il 7 maggio, è stato messo in scena un sit-in di protesta pacifico. Le 28 persone che vi hanno preso parte – sedendosi nell’atrio dell’edificio – sono state denunciate dall’università; da allora, Politecnico e Università hanno ordinato massicci presidi di polizia prevedendo controlli – stando a quanto denuncia il collettivo zurighese Students for Palestine – sugli studenti sospettati di simpatizzare per la causa palestinese. Il 15 maggio, a Basilea, l’ateneo teatro di un’occupazione da parte di 50 persone ha ordinato lo sgombero e poi sporto querela penale contro i manifestanti. Lo stesso giorno, senza che opponessero resistenza, sono stati sgomberati anche i circa 30 studenti che occupavano uno stabile dell’Università di Berna. Denuncia anche per gli studenti di Friburgo che il 17 maggio hanno ricevuto l’ordine di abbandonare il presidio da parte della polizia. Gli studenti del Coordinamento studentesco per la Palestina avevano allora denunciato “l’intransigenza e la mancanza di dialogo del rettorato”. A Ginevra, infine, la sezione ginevrina del Coordinamento studentesco per la Palestina ha deprecato quello che è stato definito un uso strumentale della querela da parte del rettorato: nella notte tra il 13 e il 14 maggio, in seguito alla denuncia per violazione di domicilio, gli studenti sono stati ammanettati, privati degli effetti personali e interrogati dalla polizia. Il giorno dopo, il rettorato ha ritirato la querela che aveva reso possibile questa operazione. Oltre a ciò, è di nuovo il collettivo CEP-UNIGE, in un comunicato stampa condiviso da molti altri collettivi svizzeri, a denunciare una campagna di delegittimazione – mediatica e politica – che con varie accuse (tra cui anche quella di antisemitismo) vorrebbe secondo loro degradare l’immagine di un interlocutore che ora, ancor di più rispetto agli esordi delle mobilitazioni, chiede a un paese democratico di dimostrare di esserlo per davvero. |