Il 17 gennaio 2012 è una data importante nella recente storia sindacale svizzera. Quel giorno infatti il gigante farmaceutico Novartis ha annunciato la sua rinuncia alla chiusura del sito di produzione di Prangins, nel canton Vaud, dove anzi intende ora investire 40 milioni su una prospettiva di lungo termine. Salvi tutti i posti di lavoro. E sono molto meno di quanto comunicato in un primo tempo anche i posti cancellati a Basilea. Merito in primo luogo della grande determinazione delle maestranze di Prangins, che per tre mesi hanno lottato per salvare il loro posto di lavoro. Con successo.

È grazie alla resistenza e alla lotta dei dipendenti Novartis di Prangins, al lavoro del sindacato Unia e al sostegno della popolazione locale e delle autorità vodesi che è stato possibile quello che nessuno considerava nemmeno immaginabile: far tornare sui suoi passi una multinazionale come Novartis e costringerla a rimangiarsi il piano di chiusura dello stabilimento vodese, annunciato il 25 ottobre scorso sebbene Novartis realizzi sempre utili stratosferici (2,5 miliardi di dollari nel solo terzo trimestre del 2011). Novartis con la chiusura di Prangins avrebbe voluto risparmiare 24 milioni di franchi all'anno: tanti quanti ne guadagna nello stesso periodo di tempo Daniel Vasella, presidente del consiglio d'amministrazione del gigante farmaceutico.
Quattro sono i grandi meriti dei lavoratori del sito di Prangins. In primo luogo non essersi divisi fra "colletti blu", gli addetti del settore produzione destinati al licenziamento nel piano di Novartis, e "colletti bianchi", gli impiegati amministrativi e della ricerca ai quali Novartis aveva offerto il trasferimento in un'altra sede di lavoro. In secondo luogo non essersi persi d'animo, ma aver reagito con misure di lotta e di sensibilizzazione culminate nello sciopero del 16 novembre, un fatto più unico che raro nella storia dell'industria chimica e farmaceutica svizzera. Poi aver costretto con la pressione popolare un Consiglio di Stato vodese inizialmente riluttante ed arrendevole ad affiancarli nella lotta. Infine, non aver creduto ai dati forniti da Novartis ma aver preteso al contrario la massima trasparenza, contribuendo nel contempo a trovare soluzioni alternative alla chiusura pura e semplice dello stabilimento (soluzioni presentate cifre alla mano con un rapporto di 80 pagine già alla fine di novembre).
Che Novartis non chiuda lo stabilimento di Prangins ha però un costo per gli stessi operai. Nel corso dei negoziati infatti le maestranze hanno accettato dei sacrifici sulle loro condizioni di lavoro pur di mantenere intatta l'occupazione: in particolare il tempo di lavoro sarà per tutti di 40 ore alla settimana, questo significa che la metà del personale ha accettato un aumento del tempo di lavoro da 37,5 a 40 ore. Ad aver convinto Novartis a non chiudere il sito di Prangins hanno poi contribuito anche altri argomenti, come uno sgravio d'imposta per al massimo sei anni: in contropartita Novartis s'impegna a mantenere aperto il sito di Prangins per un numero di anni doppio di quello durante i quali beneficerà dello sgravio. Inoltre il comune di Prangins si è impegnato a dezonare una parcella di proprietà di Novartis, operazione che permetterà al gigante farmaceutico di fare un uso più redditizio di quel terreno.
Alcuni nodi centrali di questa lotta per la difesa del posto di lavoro richiamano senza dubbio lo sciopero vittorioso alle Officine Ffs di Bellinzona della primavera 2008. Ad esempio l'unione fra impiegati amministrativi e addetti alla produzione. Poi la determinazione con cui i lavoratori non hanno voluto credere alle "verità" dei vertici di Novartis il 25 ottobre, ma si sono rimessi a fare i calcoli in tasca al gigante farmaceutico, convinti com'erano (a ragione) che la "loro" fabbrica non fosse un problema, ma semmai una risorsa. E poi la strategia, concordata fra Unia, comitato di sostegno e Consiglio di Stato vodese, di far diventare la lotta di Prangins un tema di portata nazionale, coinvolgendo nella ricerca di una soluzione anche il consigliere federale Johann Schneider-Ammann. Perché di fronte ad un colosso come Novartis un'entità piccola come il canton Vaud non ha nessuna possibilità di farsi ascoltare. Che cosa abbia messo la Confederazione sul piatto della bilancia non si sa di preciso. Si dice che Berna abbia minacciato una riduzione dei prezzi artificiosamente alti dei medicamenti in Svizzera e che abbia promesso un'accelerazione delle procedure di autorizzazione di nuovi farmaci da parte di Swiss­medic.
Anche a Basilea Unia e le maestranze hanno potuto strappare a Novartis delle concessioni. Dei 760 posti che inizialmente dovevano essere cancellati, ne verranno soppressi alla fine circa un terzo. Le modalità di questa riduzione degli effettivi devono ancora essere concordate fra i partner sociali.

Ma Novartis non ha perso

Se le lavoratrici e i lavoratori dello stabilimento Novartis di Prangins escono vincenti dal lungo braccio di ferro con i vertici del colosso farmaceutico mondiale, non si può dire che Novartis ne esca perdente. Anzi. Nel grosso pacchetto di misure confezionato per salvaguardare il posto di lavoro a 320 persone ce ne sono alcune che sanno di regalo per Novartis:
•    la metà del personale, quella che lavora a turni, aumenta il tempo di lavoro da 37,5 a 40 ore settimanali, come l'altra metà, senza aumento di salario;
•    tutti i dipendenti rinunciano ad una parte dell'aumento di stipendio cui avrebbero avuto diritto in base al Ccl;
•    il canton Vaud concede uno sgravio d'imposta a Novartis di cui il Consiglio di Stato s'è impegnato a non rivelare l'ammontare;
•    il comune di Prangins assegna a zona edificabile mista un terreno di proprietà di Novartis di 22 mila metri quadrati, oggi attribuito dalla pianificazione a zona industriale: il plusvalore per Novartis potrebbe oscillare fra i 20 e i 30 milioni di franchi.
Certo, Novartis s'è anche impegnata ad investire 40 milioni nel sito di Prangins. Ma non c'è dubbio che i vantaggi che trae da tutta questa operazione, fra aumento della produttività, sgravio fiscale e rivalutazione del terreno, compensano ampiamente tale "sacrificio". Tanto che il dubbio è lecito: e se l'annuncio della chiusura di Prangins fosse stato tutta una farsa allo scopo di ottenere dai poteri pubblici, dai sindacati e dai dipendenti quanto questi in circostanze normali non avrebbero mai concesso?
Il pericolo reale è che il caso Novartis faccia ora scuola. E che cioè molte altre grosse imprese si mettano a minacciare licenziamenti collettivi per strappare degli aumenti di produttività (cioè più lavoro con meno salario) ed incamerare vantaggi di varia natura. Per questo, in occasione della revisione del Codice delle obbligazioni, che dovrebbe arrivare quest'anno in parlamento, il Partito socialista chiederà che si proibisca alle imprese che realizzano utili di ricorrere a licenziamenti collettivi.

Pubblicato il 

27.01.12

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