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United for peace
di
Anna Luisa Ferro Mäder
Quando alcune settimane fa il poeta americano Sam Hamil ha ricevuto l’invito di Laura Bush, la moglie del presidente statunitense, a partecipare ad un simposio di poesia, la prima cosa che ha fatto è stata di spedire 50 e-mail ad altrettanti colleghi invitandoli a scrivere un poema contro la guerra da inviare alla signora Bush. In pochi giorni ha ricevuto quasi 2000 risposte, tra cui i contributi dei colleghi Adrienne Rich e Lawrence Ferlinghetti. A questo punto la moglie del presidente ha preferito rinviare l’incontro. La signora Bush «rispetta e crede nel diritto di ogni americano di esprimere la propria opinione. Anche lei ha le sue opinioni e ritiene che sarebbe inappropriato trasformare un evento letterario in un forum politico» si è affrettatata a precisare la sua segretaria spiegando le ragioni del rinvio. È un segnale in più di quanto si stia espandendo il movimento pacifista anche negli Stati Uniti. Ignorati per mesi da stampa e televisione, i pacifisti hanno ottenuto il giusto spazio solo in gennaio, quando decine di migliaia di persone, sfidando un freddo polare, sono scese in piazza a Washigton chiedendo pace e non guerra. Nei mesi precedenti il movimento si era propagato a macchia d’olio e ad una velocità tale da lasciare di stucco persino i pacifisti dei tempi del Vietnam. Il successo è in parte dovuto ad internet che ha permesso di raggiungere e sensibilizzare rapidamente molto persone. Si è così creata rapidamente anche una forte coalizione. Basti pensare che la manifestazione, promossa da “United for peace and justice”, che si terrà questo fine settimana a New York, è sostenuta da almeno 200 organizzazioni. Sono terzomondisti, sindacalisti, neri, musulmani, veterani di guerra, studenti e piccoli imprenditori tutti accomunati dall’idea di risolvere con la pace e non con la forza la crisi irachena. Le chiese stanno svolgendo un ruolo importante. I vescovi cattolici americani, per esempio, sono per una soluzione senza l’uso della forza. In molte chiese frequentate da neri l’omelia domenicale è da settimane dedicata al tema della pace. I sindacati non sono impegnati in prima fila, ma il presidente dell’Afl-Cio, la principale organizzazione sindacale americana, John Sweeney insieme al collega britannico John Monks, ha inviato un messaggio al presidente americano George Bush e al primo ministro britannito Tony Blair chiedendo loro di «adottare ogni possibile misura per disarmare l’Iraq senza ricorrere alla guerra». Il movimento pacifista è un fenomeno che si nota sempre più. Chi passa in queste settimane davanti alla Casa Bianca a Washington si imbatte inevitabilmente con il picchietto organizzato dalle “Donne per la pace”, riconoscibili dal loro striscioni color viola. La loro veglia è iniziata il 17 di novembre e terminerà l’8 di marzo, giornata internazionale della donna, con una marcia per la pace e la consegna di una petizione che le organizzatrici sperano sia firmata da un milione di persone. «La pace è patriottica» si legge invece in un cartello di un picchetto forse meno famoso, ma che da mesi è visibile presso le stazioni ferroviarie di Lond Island. Col trascorrere delle settimane e con l’avvicinarsi del possibile inizio delle ostilità crescono negli Stati Uniti le simpatie per questo tipo di azioni, spesso condotte da persone non più giovanissime. Comunque anche i giovani stanno facendo la loro parte. Erano numerosi in piazza a Washington. Sono molto attivi nei campus universitari, dove organizzano dibattiti e conferenze sulle implicazioni della guerra. Invitano a parlare esperti che i media tendono ad escludere dalle discussioni televisive o radiofoniche, dove sempre gli stessi esperti si spostano da una catena all’altro esprimendo sempre le stesse idee tutt’altro che pacifiste. Sabato a New York e domenica a San Francisco per i pacifisti sarà ancora una volta l’occasione per farsi sentire, ma anche di unire la loro voce a quella di tanta altra gente nel mondo. I manifestanti di New York potranno andare a scandire le loro richieste davanti al Palazzo di vetro, la sede dell’Onu, dove si riunisce il consiglio di sicurezza che proprio venerdì ha ricevuto il nuovo rapporto degli ispettori. Anche a New York i manifestanti cercheranno di ricordare che questa crisi si «può vincere anche senza la guerra».
Pubblicato il
14.02.03
Edizione cartacea
Anno VI numero 7
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