Unia per tutti, tutti per Unia

Meno uno. Domani a Basilea nasce Unia. È il punto di arrivo di un lungo cammino intrapreso otto anni fa con la fondazione del sindacato del terziario unia, proseguito con la nascita della cosiddetta Casa sindacale, con il lancio dei giornali comuni Sei-Flmo e via via fino agli odierni congressi di scioglimento di Sei, Flmo e Fcta. La città renana terrà a battesimo il più grande sindacato svizzero, «un sindacato per tutti e per tutte» che rappresenta «la risposta sindacale ai profondi mutamenti strutturali dell’economia» ha detto martedì in una conferenza stampa a Berna l’attuale presidente del Sei Vasco Pedrina. Il nuovo sindacato interprofessionale dovrà raccogliere la sfida di amalgamare cinque federazioni con tradizioni e valori diversi per «forgiare una nuova identità», ha sottolineato il presidente della Flmo Renzo Ambrosetti. Alla vigilia del congresso di fondazione e a due settimane dalla prima grande manifestazione nazionale di Unia (si veda anche a pagina 4), area si è intrattenuta con i futuri co-presidenti del nuovo sindacato. Renzo Ambrosetti e Vasco Pedrina, Unia già nel nome è un programma di unità sindacale: l’allargamento ad altri sindacati sarà un vostro obiettivo prioritario? Pedrina: Con Unia creiamo le condizioni organizzative per realizzare un sindacato interprofessionale per tutti i lavoratori e le lavoratrici del settore privato. La nostra priorità è quella di consolidarci dove siamo forti (industria e artigianato) e, sfruttando le sinergie della fusione, di liberare forze per fare un salto di qualità nella sindacalizzazione del terziario, che è la nostra grande sfida dei prossimi anni. La nostra organizzazione ci permetterà però di accogliere chi in futuro decidesse di unirsi a noi. Ma non è questa la nostra prima priorità. Ambrosetti: Nei prossimi anni sarà importante consolidarci. Un anno fa la Vpod ci aveva chiesto di allargare Unia a loro. La nostra risposta è stata che prima Unia ha bisogno di un periodo di consolidamento, poi se ne potrà riparlare. Quel che si può fare abbastanza presto è lavorare assieme su dei progetti puntuali. Durante tutta la fase di costruzione del nuovo sindacato abbiamo regolarmente informato tutte le federazioni dell’Uss, e in quest’ambito qualcosa è nato: ad esempio il Sev oggi partecipa al nostro giornale romando “Evenement syndical”. L’attualità ripropone sull’agenda sindacale problemi che sembravano risolti una volta per tutti: l’orario di lavoro, la difesa del salario, le pensioni, ... D’altro canto Unia è molto attiva anche sul piano politico con attività che non appartengono di per sé al nucleo del lavoro sindacale: sul piano nazionale vi siete impegnati sul fronte della guerra in Iraq o del Wef di Davos, in Ticino ad esempio a sostegno dell’autogestione giovanile. Non c’è il rischio di disperdere le energie a scapito dei vostri compiti primari? Ambrosetti: Il nostro compito primario è fare in modo che tutti i lavoratori e le lavoratrici in Svizzera abbiano buone condizioni di lavoro, e questo lo si fa attraverso i contratti collettivi. Però non bisogna dimenticare che viviamo in una società aperta in cui i problemi per esempio dell’autogestione in Ticino, dei paesi in via di sviluppo o della guerra ci toccano. Da sempre il movimento sindacale ha una vocazione internazionalista e continuerà ad averla, anche se negli ultimi tempi questa vocazione ha perso un po’ di forza. I miei predecessori di 30 o 40 anni fa hanno avuto un ruolo fondamentale nella Federazione internazionale delle organizzazioni metalmeccaniche, di cui sono stati presidenti e segretari generali. Lo stesso nell’ambito della Federazione europea. Dovremo recuperare terreno e spazio d’intervento in quest’ambito, e un’organizzazione grossa come Unia avrà più mezzi da liberare per questi scopi. Alla Flmo mancavano le risorse anche umane. Pedrina: Il pericolo di dispersione è reale, ed è uno dei nostri principali compiti di dirigenti di dire di no quando è necessario per richiamare l’attenzione sulle questioni prioritarie. A volte non è facile, perché più si ha soldi e più si hanno risorse, e più si diventa un punto di riferimento non solo per chi direttamente si rappresenta ma anche per altre componenti della società come i movimenti sociali, che aumentano le richieste di sostegno. Cerchiamo di fare il possibile, ma dobbiamo stare attenti a non disperdere le nostre forze con la conseguenza di fare male il nostro compito principale. Il padronato vuole accreditare l’immagine del Sei che fagocita la Flmo per poi affibbiare a Unia un’etichetta di inaffidabilità e velleitarismo e per non dover riconoscere il nuovo sindacato come partner dei rispettivi contratti collettivi. Siete rimasti spiazzati? E come intendete reagire? Pedrina: C’era da aspettarsi un certo nervosismo da parte padronale. D’altronde avremmo dovuto preoccuparci se non fosse stato così, perché è chiaro che l’obiettivo di Unia è quello di aver un sindacalismo più forte. Peter Hasler (direttore dell’Unione padronale svizzera) ha sempre dichiarato di volere dei sindacati forti, però quando questi diventano davvero forti e si mettono a scioperare non li vuole più... Il nervosismo padronale è logico perché il panorama sindacale cambia. Ma non si deve nemmeno esagerare: assieme gestiamo 500 contratti collettivi, i tre quarti di quelli che ci sono, e finora abbiamo avuto le disdette della Ems Chemie di Christoph Blocher, della Migros e dell’Astag. Gli altri non hanno reagito in questo modo, e confidiamo nel fatto che con la Migros e persino con l’Astag troveremo una soluzione perché accettino di riprendere il partenariato contrattuale con noi. Evidentemente il padronato deve rassegnarsi all’idea di avere di fronte un partner forte e che nei rami in cui non è disposto ad agire correttamente ci possono essere azioni di lotta, qualche volta di lotta dura. Però abbiamo anche una tradizione di partenariato contrattuale, e questo vale pure per il Sei, che il padronato vorrebbe dipingere come un monellaccio. Ambrosetti, non le dà fastidio l’assimilazione Unia-Sei? Ambrosetti: No, assolutamente. La si fa a livello padronale per far credere che nei nostri settori ora si comincerà ad adottare termini e metodi che il padronato ritiene inaccettabili. Ma in definitiva anche la Flmo negli ultimi anni ha dimostrato di sapersi mobilitare quando necessario, arrivando anche allo sciopero. Che il padronato segua questo processo con preoccupazione mi fa piacere. Noi, ed io in particolare, privilegiamo, come fanno tutti i sindacati, la via della trattativa. Ma se di fronte si ha qualcuno che non vuole trattare, bisogna trovare un’altra via per far passare le esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici. Quanto alla disdetta dei contratti, eravamo preparati. Se ne fosse arrivata una valanga avremmo dovuto intervenire, e avevamo già anche previsto come. Nel caso della Ems Chemie ce lo aspettavamo: il Sei era stato buttato fuori una decina d’anni fa, ora che sarebbe rientrato con la Flmo non potevamo aspettarci reazione diversa. Dopo il congresso avrò un incontro con la figlia di Blocher, che ora dirige la Ems Chemie, per discutere il caso. Potete prendere oggi tre impegni nei confronti dei vostri iscritti di cui verificare fra un anno l’adempimento? Ambrosetti: Il primo impegno è di essere ancora più presenti sul posto di lavoro, vicino ai membri. Il secondo è di far crescere Unia. Il terzo impegno è che Unia stipuli più contratti collettivi dai contenuti vantaggiosi per le lavoratrici e i lavoratori: si tratterà di capire con i nostri associati quali sono le loro priorità lavorando sulla base del principio della responsabilità dei settori professionali per tener conto il più possibile dei bisogni dei lavoratori e delle lavoratrici nella definizione delle loro condizioni d’impiego. Pedrina: Sono pienamente d’accordo, distinguendo nel secondo impegno fra crescita della forza di Unia e crescita numerica dei suoi membri. Perché in una prima fase dopo una fusione c’è sempre una stagnazione del numero di iscritti. L’impegno lo prendo però volentieri sul medio termine, diciamo dopo un paio d’anni. Al di là di ciò c’è una preoccupazione diffusa nei membri attivi del Sei che a volte sento anche fra quelli della Flmo e della Fcta, la preoccupazione cioè che Unia diventi un grande apparato burocratico. Credo quindi che dobbiamo prenderci l’impegno, che corrisponde perfettamente con i tre formulati da Renzo e che costituisce anzi la loro premessa, di evitare il burocratismo e di sviluppare ancora la dinamica e lo spirito combattivo che abbiamo costruito in questi anni. "Remore superate, base convinta" Quali sono i principali problemi organizzativi aperti che dovranno essere risolti dopo il congresso di fondazione di Unia? Ambrosetti: In primo luogo la messa in pratica delle strutture regionali. Nella maggior parte delle regioni ci sono infatti ancora strutture separate, dalle strutture militanti agli uffici. Di lavoro ne rimane anche per quel che riguarda la centrale nazionale a Berna: l’obiettivo è di essere tutti sotto lo stesso tetto entro maggio 2005. Pedrina: Per quel che riguarda la centrale c’è il problema del trasferimento da Zurigo a Berna, che non è semplice da risolvere per chi è direttamente toccato dalla misura. E poi si tratta di integrare nel lavoro quotidiano le diverse culture sindacali. D’altro lato sono ancora aperte questioni pratiche relative al personale: ad esempio la fusione delle casse pensioni, per le quali stiamo sviluppando il nuovo regolamento, è un processo complesso da mettere in pratica. Ma posso dire che siamo a buon punto: nella fase preparatoria siamo riusciti ad avanzare nell’integrazione in modo che il passaggio alla pratica dovrebbe farsi nella maggior parte dei casi senza grossi drammi. Nell’ultimo anno il processo d’integrazione è avanzato a volte a passi forzati: siete sempre riusciti a coinvolgere in modo ottimale i diretti interessati e la base o sono stati necessari degli strappi che forse non tutti hanno sopportato bene? Ambrosetti: Credo che uno dei punti forti di questo processo, che spiega anche perché siamo puntuali nella sua concretizzazione, è il costante coinvolgimento della base. Forse il coinvolgimento non è stato ottimale dappertutto, ma non mi sembra ci siano membri che sono all’oscuro di tutto. Certo è stato un periodo in cui la pressione era enorme, sia a livello delle strutture centrali che a quello delle regioni. C’è stato un momento di crisi sul finire del 2003, dovuto anche alla stanchezza delle persone coinvolte. In quel momento abbiamo fatto una discussione sulle priorità cui far fronte fino al congresso e su di esse ci siamo concentrati, rinviando ad un secondo tempo la soluzione dei dettagli. Pedrina: Il fatto che l’assemblea dei delegati del Sei del 28 agosto ha dato luce verde al progetto quasi all’unanimità è un segno che ora il processo è sostenuto da tutti i settori dell’organizzazione. Anche i ticinesi hanno votato sì, il che mi ha fatto molto piacere: è segno che certe remore rispetto al principio della fusione e all’orientamento del nuovo sindacato sono superate. A differenza delle fusioni nell’economia privata, dato che le nostre organizzazioni sono democratiche abbiamo prima dovuto convincere: è vero, questo ci ha preso molto più tempo di quanto necessario in una fusione aziendale, però ora abbiamo basi solide per mettere in pratica il progetto. Il 1° settembre Renzo ed io abbiamo vissuto un’esperienza molto positiva ad un’assemblea di attivisti di Flmo, Fcta e Sei nel Giura. Quattro anni fa il clima alla stessa assemblea era di scetticismo e diffidenza, ora abbiamo riscontrato una dinamica molto positiva. I colleghi sono coscienti che non sarà sempre facile, perché si devono integrare culture di ramo e sensibilità politiche molto diverse, eppure c’era veramente molto entusiasmo, con la coscienza che un sindacato interprofessionale ci permetterà di affrontare le sfide del nuovo periodo con una dinamica positiva. Ambrosetti: Questa evoluzione è percepibile anche in Ticino, dove per ragioni diverse sia da una parte che dall’altra c’era molto scetticismo. Dal mese di maggio di quest’anno, quando sono stati definiti alcuni importanti elementi organizzativi, si è osservata un’accelerazione nel processo d’integrazione, che fino ad allora non riusciva a decollare: ora non ci sono più resistenze di principio, si lavora assieme e si sta recuperando il ritardo. Sarà importante continuare su questa strada, evitando prevaricazioni da una parte e dall’altra, ma valorizzando le differenti culture. Dobbiamo andare verso un’unità nella diversità, e da questa diversità trarre arricchimento per l’intera organizzazione. C’è da imparare da entrambe le parti. Due copresidenti ticinesi ma soprattutto di lingua madre italiana: è un fatto che ha un significato particolare o è un caso frutto delle circostanze? Ambrosetti: L’uno e l’altro. Due ticinesi alla testa delle due più grosse organizzazioni sindacali è indubbiamente un caso. Vasco è il secondo presidente ticinese nel Sei, mentre addirittura per la Flmo non c’è mai stato un ticinese né come segretario centrale, né come presidente. Penso che la nostra sensibilità di ticinesi abbia giovato a tutto il processo d’integrazione. Chi proviene da una minoranza sa tener conto di tutte le realtà e di tutte le sensibilità meglio di chi appartiene ad una maggioranza. Con Vasco ci siamo sempre intesi, abbiamo sempre giocato a carte scoperte, lealmente. E questo consenso al vertice ha avuto un influsso positivo su tutta la struttura. Pedrina: Per il Sei l’aspetto non casuale della presidenza ticinese è dato da quella che il mio predecessore definiva “l’italianità del Sei”: il Sei ha una forte componente non solo ticinese (il Ticino è forte nell’organizzazione nazionale), ma anche legata all’immigrazione italiana, che poi s’è allargata a quella spagnola, portoghese ecc... Se Ezio Canonica e poi io siamo diventati presidenti del Sei è perché siamo espressione di questa componente. In avvenire questa italianità avrà meno forza perché gli italiani tornano in parte in patria e emergeranno altre correnti migratorie. Credo però anch’io che sia stata una chance in più per il processo di fusione che alla testa vi fossero due rappresentanti di una componente minoritaria della società svizzera, abituati a muoversi in una situazione di minoranza e consapevoli quindi dei problemi ad essa legati ma anche con il savoir faire di chi sa come ci si deve muovere per ottenere delle maggioranze quando si è minoritari. Quale sarà il vostro stipendio da “top manager”? Pedrina: All’inizio rimangono in vigore le scale salariali delle rispettive organizzazioni di origine. Il salario dei due copresidenti sarà comunque compreso fra i 140 e i 150 mila franchi all’anno. Siamo ben pagati, ma portiamo anche grosse responsabilità: dirigeremo un’organizzazione di 200 mila iscritti, con mille dipendenti, con 500 contratti collettivi (ai quali sottostà 1 milione di salariati e di salariate) e la più grossa cassa disoccupazione svizzera.

Pubblicato il

15.10.2004 02:00
Gianfranco Helbling