L'editoriale

Vogliamo lavorare meno per vivere meglio e non lavorare di più per ricevere meno. È il messaggio chiaro e inequivocabile risuonato in ogni angolo del paese in occasione della mobilitazione femminista e delle donne di questo martedì 14 giugno, data simbolo della lunga battaglia per la parità e anniversario degli storici scioperi del 1991 e del 2019 e che quest’anno coincide con l’avvio ufficiale della campagna contro la riforma AVS 21 decisa dal Parlamento e in votazione il 25 settembre prossimo.

 

Una riforma ingiusta, antisociale e sessista e una votazione cruciale per le sorti dell’intero sistema pensionistico elvetico. È infatti evidente che un eventuale sì al previsto innalzamento dell’età pensionabile delle donne a 65 anni, spianerebbe la strada a ulteriori prolungamenti della durata della vita lavorativa: fino a 67, 68 o addirittura 70 anni. E per tutti, uomini e donne. La destra ha già progetti in cantiere che vanno proprio in questa direzione.


AVS 21 è un atto di smantellamento del principale pilastro della socialità in Svizzera, un attacco alla dignità delle donne sferrato dietro il paravento dell’uguaglianza. E questo avviene in un contesto in cui le rendite delle pensionate già sono globalmente del 37 per cento inferiori a quelle degli uomini e nel quale le lavoratrici durante tutta la vita professionale subiscono pesanti discriminazioni salariali. E in più continuano ad assumersi gratuitamente la maggior parte del lavoro domestico, educativo, di cura e di assistenza a propri cari: per 1 miliardo di ore all’anno e per centinaia di miliardi di franchi per mancati guadagni e lavoro non retribuito. E ora, per sistemare le finanze dell’Avs, sane ma sempre dipinte ad arte per far credere il contrario, si pretende di risparmiare 10 miliardi di franchi interamente sulle spalle delle donne.


Ma è ovvio che, di fronte a un problema di povertà degli anziani, sono le pensioni che vanno aumentate, non l’età di pensionamento. Anche perché le soluzioni per garantire rendite dignitose per tutte e tutti e i soldi per finanziarle ci sono: per esempio con moderati aumenti dei contributi, con l’introduzione di un’imposta sui dividendi o ricorrendo agli utili miliardari della Banca nazionale come chiede un’iniziativa popolare dell’Unione sindacale. E anche promuovendo e realizzando la parità salariale che porterebbe a un aumento dei contributi versati nelle casse dell’Avs.


Differenti sono ovviamente i progetti della destra politica e degli ambienti padronali, che pure guardano con grande interesse (con speranze contrarie alle nostre) alla votazione del 25 settembre. Successivamente giungerà alle urne infatti la perniciosa iniziativa dei giovani liberali radicali: ingannevolmente intitolata “Per una previdenza vecchiaia sicura e sostenibile”, essa chiede che l’età pensionabile sia prima aumentata da 65 a 66 anni e poi legata alla speranza di vita. Concretamente l’età pensionabile per entrambi i sessi verrebbe innalzata a 66 anni entro il 2032 e in seguito dovrebbe essere adattata alla speranza di vita aumentando di 0,8 mesi per ogni mese di aspettativa di vita supplementare. In base alle previsioni attuali, i promotori stimano che l’età pensionabile salirà a 67 anni nel 2043 e a 68 nel 2056. E poi c’è un’altra iniziativa (non ancora riuscita) di un comitato di destra che mira ad adeguare periodicamente non solo l’età pensionabile all’aspettativa di vita ma anche il livello delle rendite, comprese quelle in corso. Una vera e propria aberrazione.


La posta in gioco nella votazione del 25 settembre è insomma molto più alta di quanto Governo e fautori cercheranno di farci credere nei prossimi mesi.

Pubblicato il 

15.06.22
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