Vista dall’altro versante delle Alpi, la situazione politica italiana potrebbe apparire per un verso semplicissima, per l’altro incomprensibile. Semplicissima, se si sta ai numeri che rappresentano la volontà popolare. Con l’eccezione di tre territori importanti – Lombardia, Veneto e Sicilia – l’Italia delle città, delle province e delle regioni è stata riconquistata dal centrosinistra. Negli ultimi due anni, la debacle elettorale di Silvio Berlusconi è segnata dalla perdita di roccaforti fondamentali: l’intero Meridione d’Italia, Sicilia esclusa, è stato riconquistato dalle forze democratiche. Città chiave come Bologna sono tornate nelle mani della sinistra, Piemonte e Liguria hanno sbattuto la porta in faccia alla Casa delle libertà, il Lazio è risorto a nuova vita. Nell’isola più bella, la Sardegna, 7 provincie su 8 hanno premiato la politica coerentemente ambientalista a antimilitarista del presidente Soru che si batte contro la cementificazione delle coste e le basi americane. Al Cavaliere di Arcore resta soltanto un’enclave dentro le redente Gallura e la Costa Smeralda: Villa Certosa, luogo di intrattenimento di ospiti internazionali. La riconferma a Catania del medico personale di Berlusconi (grazie a un leghista meridionale che però si chiama Lombardo) e la vittoria a Bolzano città per 7 (sette) voti, sono ben magre consolazioni per una destra in rotta, lacerata al proprio interno. Alleanza nazionale sull’orlo della spaccatura, l’Udc un giorno dentro e un giorno fuori dalla maggioranza, Forza Italia al lumicino. Resta il fortino leghista a fare da sherpa al presidente dimezzato del consiglio. Fin qui tutto chiaro. Adesso arriva l’incomprensibile, che racconta la vocazione al suicidio delle forze democratiche italiane. Da una decina di giorni Berlusconi sembra un altro: ride, sfotte, lancia proclami, promette riscosse e vittorie, ricatta dall’alto dei suoi conti in banca e del suo carisma gli alleati, vuole il partito unico della destra. E la sinistra, prima sta a guardare, convinta che sia sufficiente restare sulla sponda del fiume per veder passare, tra un anno, il cadavere dell’avversario. Poi non si accontenta e comincia a farsi del male. Rutelli bombarda Prodi, sognando un grande centro insieme a Mastella e a tutti i fuoriusciti democristiani dalla Casa delle libertà e a questo scopo rompe il giocattolo ulivista del professore bolognese (lista unica al proporzionale). I Ds fingono di soffrirne ma in realtà anch’essi non abbandonano il progetto egemonico nel centrosinistra. E che fa Sergio Cofferati, eletto sindaco a furor di popolo di Bologna (dato che non aveva avuto il coraggio di guidare e cambiare una sinistra che aveva contribuito a rimettere in moto)? Taglia i ponti con il movimento che l’aveva sostenuto, rompe con Bertinotti, inneggia all’ordine e alla legalità mettendo all’indice gli occupanti di case (ora nelle mani della magistratura) e persino i bicchieri di vino consumati fuori dalle tradizionali osterie bolognesi. Ordine, per dio, costi quel che costi. Il finale di questa storia non è ancora scritto, non bisogna disperare. Forse i guasti prodotti da Berlusconi sono troppo gravi ed evidenti perché la destra possa tornare a vincere. Nonostante tutto, cioè nonostante la vocazione al suicidio del centrosinistra.

Pubblicato il 

27.05.05

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato