La polvere si deposita sulle elezioni USA e, guardando ai dati su chi ha votato come, possiamo probabilmente affermare che non è Donald Trump ad aver vinto le elezioni, ma Kamala Harris ad averle perse. Il computo finale delle schede non è terminato in due Stati, ma Harris ha perso più di 13 milioni di voti rispetto a Biden, mentre Trump solo due. Il repubblicano, insomma, mantiene la sua base, mentre Harris sconta un calo di affluenza alle urne fatale. Evidentemente l’aver impostato la campagna elettorale non su un messaggio positivo ma sul pericolo Trump non ha motivato gli elettori cosiddetti discontinui. I voti persi vengono da molti luoghi e ambienti sociali, in Michigan, ad esempio, la città di Dearborn, dove vivono circa 100mila arabo-americani ha visto un exploit della candidata Verde Jill Stein (27% contro lo 0,5% nazionale). I giovani hanno votato meno, il che fa crescere Trump in percentuale tra la popolazione under 30, ma non perché abbia davvero conquistato molti voti in quel gruppo. Tra gli ispanici è una vera e propria catastrofe, nel senso che i punti persi sono molti e, in questo caso, c’è qualcosa di più che solo disaffezione – ma questa è una valutazione che si potrà con certezza fare quando avremo dei dati puntuali sui flussi di voto. Il calo dei voti tra gli ispanici potrebbe però essere un campanello d’allarme: oltre al voto operaio bianco, i democratici stanno perdendo anche quello delle minoranze (anche una piccola percentuale è vitale per la loro coalizione sociale). L’unico minuscolo passo avanti rispetto al 2020 è un +1% rispetto a Trump tra gli over 65: gli anziani abituati a toni e modi della politica non trumpiani, hanno scelto la normalità di Harris. Ma da dove viene questa sconfitta tanto pesante? Le ragioni sono diverse, alcune legate alla campagna e altre alla realtà delle cose e volendole riassumere per punti possiamo dire che: - la nomina dall’alto di Harris da parte di Biden è stata un male perché così la candidatura non è passata per un processo di selezione, per un confronto tra diverse persone con qualità, carattere, profilo, idee diverse; - la scelta di Harris non è stata felice perché già durante le primarie del 2020 aveva dimostrato di non essere una buona candidata, di non sapersi dare un profilo, l’aver fatto marcia indietro su diverse posizioni espresse allora, poi, le ha dato una patente di incoerenza e scarsa credibilità (cambio idea perché ho visto i sondaggi); - Harris ha scelto di corteggiare il voto di centro in un paese polarizzato come non mai dove dal 2000 in poi e con l’eccezione del doppio mandato a Obama e Bush (ma c’era stato 9/11) la gente vota contro; - l’aborto, l’altro tema centrale della campagna non è stato mobilitante, non c’è stata la sperata valanga femminile perché le preoccupazioni dell’americano medio sono in questo momento altre; Interrompiamo questo elenco per venire al punto cruciale: l’economia. Da quattro anni a questa parte gli americani dicono ai sondaggisti che le cose non vanno abbastanza bene. L’inflazione ha eroso i salari, i tassi di interesse alti hanno messo in difficoltà i piccoli business e chi voleva comprare casa (i cui prezzi sono alle stelle). Ma l’inflazione non ha colpito un paese dove le cose andavano nel migliore dei modi possibili. C’era stato il Covid e, soprattutto, ci sono stati trent’anni in cui, non è uno slogan, i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri più poveri. Soprattutto, quel che è successo, è che la classe medio bassa, la colonna della società americana, lavoratori e piccoli business di provincia, hanno visto declinare la propria condizione e sentono che basterebbe un nonnulla per finire per strada – sono stato a fare un lavoro di un mese tra gli homeless, che sono in aumento costante da qualche anno: non ci sono solo marginali, molti sono persone con un lavoro precario, altri pensionati poveri. Questi milioni di persone vogliono voltare pagina e siccome l’ultimo periodo in cui le cose sono migliorate prima del Covid e dell’inflazione è la presidenza Trump, quello è stato un fattore decisivo. Il neopresidente ha però avuto la capacità di mantenere compatta la sua base. Sembra incredibile che dopo il 6 gennaio e una campagna elettorale volgare, aggressiva, cupa, la gente sia tornata a votarlo. La risposta sta in parte nelle cose dette sull’economia, in parte sulle ricette facili per risolvere i problemi e, infine, nel fatto che Trump non vende misure ma emozioni. Certo, i miliardari che lo hanno sostenuto e molti altri votano il tycoon per interesse, perché taglierà loro le tasse e abolirà regole che ne intralciano gli affari, ma gli altri lo fanno perché parla come uno di loro. Nei comizi Trump racconta cose, divaga, parla di musica, di sport, racconta barzellette, insulta gli avversari, come fosse in un bar sport di quelli con i grandi schermi che trasmettono il football e il baseball. Il simbolo della sua campagna è un cappellino con visiera, non un logo elegante. Naturalmente è tutto falso, pensato per creare un’immagine e un culto attorno al personaggio. A questo mondo Trump promette di tornare a quando le piccole città del Midwest erano una parte cruciale dell’economia USA, mentre Harris ha rivendicato i successi dell’amministrazione Biden, che hanno portato lavoro ma non eliminato l’idea che il partito Democratico sia il partito delle città e delle coste che se ne infischia delle aree marginali. In comunità che si percepiscono come abbandonate, sostengono Nicholas F. Jacobs e Daniel M. Shea nel loro The Rural Voter (Columbia University Press, 2024), anche chi trova lavoro nella nuova fabbrica avverte il declino di cittadine le cui high street sono sempre meno vivaci e il centro di tutto è un Wal-Mart tra un grande benzinaio e un fast food sulla strada nazionale che porta fuori città. Il quadro che queste elezioni ci lasciano è preoccupante per l’America e per il mondo. Trump ha la maggioranza in Congresso e una Corte Suprema ultraconservatrice che ha già cancellato il diritto federale all’aborto e lo ha dichiarato immune da alcuni procedimenti. Come opposizione istituzionale avrà solo i governatori e come opposizione politica un partito democratico che esce a pezzi da queste elezioni e dove si aprirà un confronto probabilmente molto duro. Biden aveva promesso di essere un presidente-ponte verso una nuova generazione, ma la sua ostinazione a rimanere in sella fino all’ultimo ha invece lasciato rovine. Probabilmente ha ragione Bernie Sanders, che negli anni di Biden è stato disciplinato come tutta la sinistra democratica e che adesso dice: «I grandi interessi economici e i consulenti ben pagati che controllano il Partito Democratico trarranno qualche vera lezione da questa campagna disastrosa? Capiranno il dolore e l’alienazione politica che decine di milioni di americani stanno vivendo? Hanno qualche idea su come affrontare la sempre più potente oligarchia che detiene così tanto potere economico e politico? Probabilmente no. Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi chi di noi si preoccupa della democrazia di base e della giustizia economica dovrà discutere seriamente di politica». |