Le trattative per il rinnovo del nuovo Contratto nazionale mantello (Cnm) dei lavoratori dell’edilizia sono iniziate nel peggiore dei modi. A proposte ragionevoli da parte del sindacato, per cercare di migliorare le condizioni di lavoro e rendere più attrattivo un settore che conosce un impressionante invecchiamento degli addetti, con tutti i rischi connessi alla salute, la controparte padronale reagisce proponendo un aumento dell’orario lavorativo (fino a 50 ore la settimana) e l’introduzione del sabato lavorativo. Le proposte del Sindacato edilizia e industria (Sei) sono, infatti, da intendere in questo senso: portare l’età pensionabile (che non è l’età per l’Avs) a 60 anni, o al massimo dopo 40 anni di lavoro; eliminare l’orario flessibile per rendere più attrattivo e dignitoso un settore, quello dell’edilizia principale che occupa, solo in Ticino più di sei mila addetti. Il settore delle costruzioni è anche quello che conosce il maggior numero di infortuni sul lavoro, alcuni dei quali, purtroppo, anche mortali. Due settimane fa l’ultimo di una lunga serie, un muratore 60 enne, Livio D’Agnolo, è morto per un incidente sul lavoro a Nyon. Che il lavoratore in questione aveva 60 anni deve far riflettere il fronte padronale sulla giustezza delle proposte sindacali. Il numero dei lavoratori «over anta» nell’edilizia è sempre più elevato. Chi può cambia settore, o si ritira volontariamente, prima che malattie e infortuni rendano gli ultimi anni di vita attiva un trascinarsi da un medico all’altro. Infatti, da studi recenti risulta che la speranza di vita di chi ha svolto lavori pesanti, come quelli degli edili, rispetto a chi è occupato nel terziario, è più bassa. In un periodo che si sta prospettando di lotta dura, ci siamo recati, con un sindacalista del Sei, presso alcuni cantieri del Sopraceneri. Abbiamo quindi verificato le condizioni di lavoro e le aspettative degli edili da questa tornata di rinnovi contrattuali, in loco, direttamente sul campo. L’opinione dominante è la seguente: lavorare stanca, lavorare nell’edilizia stanca ancora di più; è quindi giusta la proposta del sindacato di pensionamento anticipato e di diminuzione dell’orario lavorativo. L’aspetto, puramente economico, dell’aumento dei salari, pur essendo importante passa in secondo piano rispetto a quelli più pressanti, di miglioramento generale delle condizioni quadro. Iniziamo il nostro viaggio presso un importante cantiere pubblico di Bellinzona. Il direttore dei lavori ci accoglie quasi seccato. Il nostro sindacalista gli si avvicina spiegandogli cosa siamo andati a fare. La domanda è stata perentoria: «avete l’autorizzazione della ditta? Se non l’avete bisogna chiederla. Non si possono fare queste cose senza autorizzazione». A quel punto abbiamo continuato lo stesso e abbiamo avvicinato un muratore portoghese di 47 anni, José. Su i cantieri a 60 anni Alla domanda se era al corrente delle trattative, o meglio del tentativo di trattative, in corso tra sindacati e fronte padronale, ha risposto: «certo che sono al corrente. So anche delle proposte inaccettabili da parte padronale di farci lavorare di sabato. Una proposta incredibile. Per non parlare dell’aumento ridicolo di 40 franchi proposto dai padroni. Non ci paghiamo neanche l’incremento della cassa malattia». Per quanto riguarda invece le proposte sindacali si dice molto favorevole al pensionamento anticipato: «non è una favola, su i cantieri ci sono ancora operai di 60 anni e oltre. È inaudito che ciò accada nel XXI secolo. Guarda che già a 47 anni, dopo una trentina passata al freddo, all’umido e al sole, siamo malandati, pensa a 65 anni se non siamo morti prima». Il sindacalista del Sei Ivan Capra, che ci ha accompagnati durante la visita ci ricorda che «il contratto dell’edilizia principale è trainante per gli altri settori ad esso collegato (gesso, pittura, falegnameria) ed è stato un modello seguito anche da altri. Un miglioramento di questo contratto è quindi imperativo». Ci spostiamo dal centro città per andare presso un altro cantiere sopracenerino. Qui incontriamo Antonio 45 anni, muratore frontaliere. È occupato, con un suo collega, nella costruzione di un muro in sassi. Sollecitato dalle nostre domande risponde molto volentieri e mostra entusiasmo su tutti i punti delle proposte sindacali: «diminuire l’orario di lavoro e un punto fondamentale su cui non bisogna mollare, specialmente per noi che veniamo dalle zone di confine. Percorrere quotidianamente, due volte al giorno, un centinaio di km per andare a lavorare non è piacevole e non saremmo sicuramente agevolati da un aumento del tempo di lavoro. La nostra vita è scandita dal ritmo di mangiare-dormire-lavorare. Non rimane spazio per lo svago e la famiglia». Per quanto riguarda invece la possibilità di pensionamento anticipato ci risponde: «sarebbe una cosa magnifica se si riuscisse a ottenere il pensionamento anticipato a 60 anni. Se si facesse un controllo medico approfondito a tutti quelli che lavorano nella costruzione, scopriremmo che non ce n’è uno veramente sano. Io faccio questa vita da 21 anni, la prospettiva di farla per quasi altrettanti mi scoraggia. È giusto quindi agevolare l’uscita dal mondo del lavoro dopo 40 anni e più di fatiche». A sfavorire i lavoratori italiani si aggiungono pure gli accordi bilaterali che non permetteranno più il riversamento dei contributi, pagati all’Avs, all’istituto di previdenza italiana (Inps) in modo da usufruire della legislazione italiana, più favorevole in tema di pensioni di anzianità. «È stata tolta anche questa possibilità – ci dice amareggiato Antonio – di ritirarsi qualche anno prima dal mondo del lavoro». Rientrare in patria Quella, di rientrare volontariamente in Italia, era un pratica utilizzata spesso, non solo dai lavoratori frontalieri, ma anche dagli altri emigrati italiani. Un altro sistema è quello di ritirare i fondi della previdenza professionale (2° pilastro) e ritornare in patria con un piccolo capitale e lavorare gli ultimi anni, prima della pensione, almeno vicino a casa. Aprire una piccola attività commerciale è una possibilità ventilata anche da Antonio: «comunque non sono disposto a fare questo mestiere fino a 65 anni. Vorrei aprire un negozietto e vivere almeno senza più stress fisici». Giovanni, 35 anni, il suo collega, pure lui frontaliere ma da solo un anno, si associa in tutto a quello detto da Antonio per quanto riguarda le rivendicazioni sindacali. Lasciamo questo posto per dirigerci presso un altro cantiere. Qui, cinque o sei operai sono intenti nella costruzione di due villette unifamiliari. Non riusciamo a chiedere nulla ma il sindacalista Ivan Capra, ci fa vedere la baracca dove devono cambiarsi e effettuare la pausa pranzo e ci mette al corrente che «il contratto nazionale mantello prevede la messa a disposizione di locali consoni per consumare il proprio pasto. Non un ristorante quattro stelle ma almeno un tavolo e delle sedie. In questo cantiere non ci sono né l’uno né le altre. Sono costretti a mangiare seduti su secchi rivoltati a mo’ di sgabelli». Il sindacalista ci spiega che la ditta è stata avvertita e ha ricevuto un richiamo formale già qualche tempo fa. A tutt’oggi non ha ancora adempiuto agli obblighi contrattuali. «Il pericolo maggiore per l’applicazione delle norme contrattuali – ci dice Capra – non sono le grandi ditte ma le piccole e medie aziende, quelle per intenderci, con una decina o meno di addetti. Bisogna vigilare sempre». Come non essere d’accordo su quest’ultima affermazione, visto che siamo di fronte all’entrata in vigore degli accordi bilaterali che rischieranno di mettere a dura prova il mercato del lavoro ticinese. Regole chiare, rispettate da tutti gli operatori del mercato, fanno in modo che gli attori principali (gli operai) abbiano una vita migliore. Serve anche a questo un contratto collettivo degno di questo nome.

Pubblicato il 

19.10.01

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato