Una vita da precari dopo la Brexit

Marta Lomartire, una ragazza italiana di 24 anni, voleva fare visita alla famiglia dello zio in Gran Bretagna. Ma è stata fermata in dogana, interrogata, perquisita e trasferita in un centro di detenzione. Questo dopo aver riferito l’intenzione di trasferirsi a Londra per badare ai nipotini, un’attività non consentita. Sono migliaia i cittadini comunitari ad aver ricevuto una simile “accoglienza”: pensavano di entrare in Inghilterra senza complicazioni come ai tempi della libera circolazione, ma sono stati respinti dall’autorità migratoria e alcuni rimpatriati dopo vari giorni di detenzione.


La liquidazione della libera circolazione delle persone era un elemento centrale della Brexit: “Riprendiamoci il controllo” recitava uno slogan per la votazione del 2016. Una votazione cui sono seguiti anni di incertezza per milioni di cittadini europei che vivevano in Gran Bretagna: per molto tempo non erano chiare le condizioni per poterci restare e poi è arrivato l’obbligo di presentare una richiesta entro metà 2021. Dopo una lunga trepidazione, 5,5 milioni di europei hanno ricevuto un permesso, anche se alcuni di loro solo provvisoriamente. Centinaia di migliaia di persone hanno mancato la scadenza e sono a rischio espulsione. Altrettante, alla luce dell’insicurezza e del clima ostile, hanno fatto i bagagli.


Ora le porte della Gran Bretagna si aprono solo se si supera un sistema di selezione “a punti” elitario. Operai edili, autisti, badanti e baby-sitter di regola non ce la fanno. Non sorprende che l’immigrazione annuale dai Paesi Ue si sia ridotta di due terzi dopo la Brexit.


E ora c’è una carenza di lavoratori in molti settori strategici: i raccolti vanno in fumo, agli anziani e ai malati mancano le cure, le merci sono ferme accatastate nei magazzini e molti scaffali dei negozi sono vuoti.
Boris Johnson assicura che questi sono solo effetti transitori del percorso verso un’economia fiorente. Presto sparirebbe il dumping e anche i britannici, grazie a salari più elevati, torneranno a fare i muratori, gli infermieri e gli autisti.

 

Ma perché Londra non ha affrontato il problema del dumping con salari minimi e altre misure come in Svizzera? Se non si segue questa via il sistema di dumping continuerà a esistere. Con lavoratori britannici precari, asiatici mal pagati e con un esercito di stagionali dall’Ucraina e da altri Paesi poveri dell’Europa.


Pubblicato il

08.11.2021 10:36
Roland Erne