Spazio Amnesty

Il 24 novembre il Consiglio per i diritti umani ha adottato una risoluzione storica: l’organismo delle Nazioni Unite ha deciso di istituire una missione d’inchiesta sulle violazioni dei diritti umani commesse durante le proteste iniziate il 16 settembre in Iran.


La repressione mortale della rivolta popolare, innescata dalla morte in custodia di Mahsa Jina Amini, segue un ciclo di attacchi violenti da parte delle autorità contro la popolazione che esprime le proprie legittime richieste dal dicembre 2017. A tre mesi dall’inizio della rivolta popolare, l’impunità sistemica ha incoraggiato le autorità iraniane a ricorrere alla forza letale. La pena di morte è usata come strumento di intimidazione e repressione politica. Una strategia portata avanti anche dalla maggioranza dei parlamentari, dal capo della magistratura, Gholamhossein Mohseni-Ejei, dal procuratore generale, Mohammad Jafar Montazeri, che insieme ad alti funzionari di polizia hanno lanciato pubblicamente appelli inquietanti per accelerare i procedimenti e giustiziare i condannati in pubblico.


L’obiettivo delle autorità iraniane è chiaro: terrorizzare la popolazione nel tentativo disperato di rimanere al potere e mettere fine alla rivolta popolare. Amnesty ritiene che almeno 28 persone, tra le quali figurano anche tre minori, rischino attualmente la pena capitale per aver partecipato alle proteste. Sei le condanne confermate al termine di processi farsa. Le prime esecuzioni pubbliche sono avvenute tra l’8 e il 12 dicembre: due giovani uomini, entrambi 23enni, sono morti per impiccagione.


Dallo scoppio delle proteste a metà settembre, Amnesty ha registrato i nomi e i recapiti di oltre 300 persone, tra cui almeno 44 bambini, uccise dalle forze di sicurezza. Le persone appartenenti alle minoranze etniche oppresse dell’Iran, tra cui baluci e curdi, sono state le più colpite dalla repressione. Le indagini sull’identità delle persone uccise sono in corso e il numero reale delle vittime è probabilmente molto più alto.


Amnesty International lavora da anni per istituire un meccanismo di indagine internazionale in Iran. Più di un milione di persone hanno firmato la nostra petizione. Questa missione d’inchiesta avrebbe dovuto avvenire molto prima, ma il voto del 24 novembre durante la sessione speciale del Consiglio per i diritti umani segna una svolta necessaria nella lotta contro l’impunità sistemica. Il messaggio è chiaro: le autorità iraniane non possono più commettere crimini di diritto internazionale senza temere conseguenze.


Nel contesto iraniano, è importante che il nostro Paese affermi pubblicamente il proprio impegno contro la pena di morte e per la protezione dei difensori dei diritti umani, e che esprima una solidarietà attiva con i manifestanti. Anche le nostre autorità possono dare un contributo concreto osservando i processi di coloro che rischiano la pena capitale per aver partecipato alle manifestazioni.

Pubblicato il 

15.12.22
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