Una storia di normale brutalità

Una brutalità «che supera ogni immaginazione». Così il procuratore pubblico Marcel Ogg ha definito l’agire di sette giovani estremisti di destra che nella notte tra il 26 e il 27 aprile 2003 a Frauenfeld (Turgovia) picchiarono due minorenni di 15 e 17 anni (il primo ne uscì con menomazioni permanenti) individuati quali bersagli ideali di una spedizione punitiva contro i “rossi” e i “punks”. Il processo a carico dei sei giovani di età compresa tra i 20 e i 25 anni (un settimo giovane, allora 19enne, si era tolto la vita in carcere pochi giorni dopo l’arresto nel giugno 2003) si è iniziato lunedì davanti al Tribunale distrettuale di Frauenfeld e si è concluso ieri. La sentenza è attesa per il 15 settembre. Lunedì, all’apertura del dibattimento, in aula si trovava pure Hans Stutz, uno dei maggiori esperti dell’estrema destra in Svizzera. Stutz di processi del genere ne ha seguiti parecchi. Nell’intervista concessa ad area racconta che, a differenza del procuratore Ogg, la violenza del pestaggio di Frauenfeld non lo ha sorpreso: «La brutalità di quest’aggressione la si ritrova in altri casi che hanno visto protagonisti esponenti dell’estrema destra negli ultimi anni», dice. Hans Stutz, a quale gruppo appartengono i giovani a processo a Frauenfeld? Lunedì, durante il primo giorno di dibattimenti, è stato detto che due o tre di loro sono membri di Blood & Honour. Nessuno ha parlato di altri gruppi dell’estrema destra, nemmeno del “Weinländer Sturm” al quale il “Blick” all’epoca dei fatti aveva collegato gli imputati. Blood & Honour è una rete internazionale di gruppi skinhead che si ispirano all’ideologia nazionalsocialista e le cui attività principali ruotano da un lato attorno all’organizzazione di concerti e alla vendita di dischi quali “armi” ideologiche, dall’altro ai pestaggi: i membri di Blood & Honour sono spesso coinvolti in aggressioni contro i loro “avversari”. Quanti sono in Svizzera? Non si sa. Il movimento [nato in Gran Bretagna negli anni ’80 e tra i cui fondatori figura Ian Stuart, l’ex cantante – deceduto nel 1993 – degli storici Screwdriver, ndr] ha sezioni in molti paesi europei, negli Stati Uniti, in America latina e anche in Australia. In Svizzera esistono almeno due sezioni: una romanda basata nel canton Vaud e una a Zurigo. Lei ha assistito a numerosi processi contro esponenti dell’estrema destra. In quello di Frauenfeld c’è qualcosa che l’ha sorpresa? No. La brutalità e l’odio profondo che gli imputati provano nei confronti delle loro vittime non mi ha sorpreso: sono una caratteristica di questo genere di aggressioni. È spaventoso però vedere con quanta aggressività gli imputati hanno distrutto una vita, senza provare alcun rimorso. L’ha sorpresa questo mancato pentimento? No. Si tratta di un atteggiamento abbastanza tipico. Uno degli imputati ha affermato che «non era nostro obiettivo ferire qualcuno così gravemente». Il rimorso riguarda solamente la gravità delle ferite, non il fatto di aver aggredito le loro vittime. Non per nulla quattro dei sei giovani asseriscono di avere ancora dei contatti con gli ambienti dell’estrema destra: continuano perciò a condividerne l’ideologia. Se non per la gravità delle ferite riportate dalle vittime, quello di Frauenfeld non è un caso estremo dunque? No, non lo è. La brutalità di quest’aggressione la si ritrova in altri pestaggi che hanno visto protagonisti esponenti dell’estrema destra negli ultimi anni. Sei mesi fa a Lucerna si è celebrato un processo contro degli skinhead che avevano aggredito un immigrato andicappato. Dopo essere stata colpita una prima volta, la vittima è stramazzata al suolo e ha perso conoscenza. Ma i suoi aggressori hanno continuato a tirargli calci in testa. Fortunatamente le ferite non si sono rivelate gravi come quelle riportate dal giovane di Frauenfeld. Pestaggi come questi avvengono con quale frequenza? Impossibile dirlo. Non abbiamo statistiche né studi in merito. Va rilevato che parecchi pestaggi rimangono nell’anonimato perché le vittime per paura decidono di non sporgere denuncia. Persino alcuni processi restano nell’ombra perché i mass media non se ne occupano. Le aggressioni di matrice estrema destra sono pianificate e perpetrate da gruppi più o meno organizzati, oppure sono piuttosto frutto dell’iniziativa spontanea di singoli individui? Sono essenzialmente iniziative individuali, o meglio di gruppetti che si costituiscono in modo occasionale, più o meno per caso. È anche il caso di Frauenfeld. Uno degli imputati – non proprio l’organizzatore, ma il più “attivo” del gruppo – ha trasmesso un messaggio Sms ai suoi compagni invitandoli a ritrovarsi per andare a picchiare i “rossi”. I giovani si sono incontrati in un pub, e una volta là hanno deciso di aggredire delle persone di sinistra. Quali sono i bersagli prediletti degli esponenti di gruppi e gruppuscoli di estrema destra? Se la prendono maggiormente con gli alternativi di sinistra, gli immigrati, gli omosessuali o con gli andicappati? Non si può dire. Vi sono delle “ondate” che in un determinato momento colpiscono l’una o l’altra categoria, e inoltre la tipologia delle vittime varia da regione a regione. Ad esempio, quattro o cinque anni fa a Berna gruppi di estrema destra attaccavano persone di sinistra, mentre altrove attaccavano giovani stranieri e straniere. Che bilancio trae dell’applicazione della giustizia in Svizzera nei casi di aggressioni perpetrate da esponenti dell’estrema destra? Anche qui la situazione varia molto da cantone a cantone e da tribunale a tribunale. Non voglio fare generalizzazioni che sarebbero semplicistiche. Si possono però esprimere critiche puntuali su casi concreti. Ne ha qualcuna che riguarda il processo attualmente in corso nel canton Turgovia? Il giudice, ad esempio, non ha indagato i legami tra gli imputati e gli ambienti dell’estrema destra... Vero, non era interessato all’appartenenza politica degli imputati. Non ha voluto approfondire la questione. Si è limitato a un paio di domande e basta. Eppure in casi del genere scandagliare il retroterra ideologico è fondamentale per risalire alle motivazioni che spingono quest persone a compiere certi atti... Certo. Ma il giudice del tribunale di Frauenfeld, come detto, non ha voluto andare a fondo. I sei giovani naziskin (all’epoca avevano tra i 18 e i 23 anni) comparsi negli scorsi giorni davanti al Tribunale distrettuale di Frauenfeld sono accusati di aver picchiato due ragazzi di 15 e 17 anni nella notte tra il 26 e il 27 aprile 2003. Gli imputati provenivano dai cantoni di Zurigo e Argovia e quella sera si erano recati a Frauenfeld con l’obiettivo di intimidire e picchiare dei punks e dei giovani di sinistra. Come ricorda la Thurgauer Zeitung nella sua edizione di martedì, l’incontro tra i sette avviene grazie a uno scambio di Sms. Il gruppo si reca con tre auto a Frauenfeld, dove nel centro culturale Eisenwerk si tiene un concerto di musica ska. I sette portano con sé guanti e passamontagna. Per non farsi riconoscere si abbigliano in modo non appariscente, rinunciando alle giacche tipiche dei gruppi di estrema destra. Parcheggiano le auto vicino al luogo del concerto, poi perlustrano i paraggi alla ricerca di potenziali vittime. Tra le 23 e le 23.30, lungo la strada che porta alla stazione, seguono due giovani che avevano lasciato il centro culturale senza aver potuto acquistare il biglietto per il concerto. Nell’atto d’accusa vengono ricostruiti i fatti: i sette naziskin si parano davanti alle loro vittime, sono in formazione di combattimento, chiedono ai due giovani se hanno da accendere. Poi all’improvviso uno dei naziskin colpisce al capo con una bottiglia vuota il 15enne che portava una berretta con i colori giamaicani. Il malcapitato stramazza al suolo. Gli altri aggressori si scatenano: colpiscono il 15enne e il suo amico 17enne con calci e pugni. Quest’ultimo rimane immobile a terra, mentre il 15enne tenta di allontanarsi strisciando. È a questo punto che i sette si accaniscono su di lui, riempiendolo di calci e pugni. Il ragazzo riporta un trauma cerebrale che richiede l’asportazione di una parte del cervello. Oggi ha 17 anni e stando alla madre ha serie difficoltà di comunicazione, ha perso la memoria a corto termine e le lesioni permanenti di cui soffre gli impediranno per sempre di lavorare. I sette aggressori vennero arrestati nel giugno 2003. Pochi giorni dopo uno di loro, un 19enne, si suicidò in carcere. Gli altri sono accusati di lesioni semplici nel caso della vittima 17enne, di tentato omicidio intenzionale (dolo eventuale) nel caso del ragazzo che ha riportate le ferite più gravi. La pubblica accusa ha chiesto pene oscillanti tra i 5 ei 6 anni di reclusione. I sei finora non hanno dimostrato alcun pentimento. Sostengono però di non aver avuto l’intenzione di ferire così gravemente la vittima più giovane. Solo due di essi hanno affermato di aver rotto con l’estrema destra. La sentenza dovrebbe cadere il 15 settembre.

Pubblicato il

02.09.2005 01:30
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