Una scusa per limitare le libertà fondamentali

Agli ignobili attentati di Parigi, il governo francese ha risposto limitando fortemente i diritti fondamentali dei suoi cittadini e cittadine, in particolare quelli che garantiscono l’esercizio delle libertà democratiche e li proteggono dagli abusi di polizia. Il primo ministro François Hollande ha infatti proclamato tre mesi di Etat d’urgence, una legge concepita nel 1955 nel contesto dell’occupazione francese dell’Algeria per sedare la rivolta della comunità algerina in Francia. Questo testo, volontariamente molto vago, permette di ordinare gli arresti domiciliari per chiunque abbia un’«attività pericolosa per la sicurezza e l’ordine pubblico», di «disperdere le riunioni di natura tale da provocare il disordine» o di procedere a perquisizioni a domicilio notte e giorno, senza mandato del giudice.


La scossa securitaria provocata dalle azioni di Daesh su suolo europeo a Parigi si fa sentire anche in Svizzera. I recenti episodi sono ripetutamente citati nei media dai paladini della nuova Legge sul Servizio Informazioni (Lsi), un testo approvato dal Parlamento nel settembre scorso e attualmente oggetto di un referendum, promosso dai Giuristi democratici e da altre organizzazioni progressiste, che ha tempo fino al 16 gennaio per raccogliere 50.000 firme. La Lsi prevede la creazione di un Servizio delle attività informative della Confederazione (Sic), che potrà procedere ad intercettazioni telefoniche e ambientali, intrusioni nei computer privati e nei programmi di comunicazione (Sms, Wa­ths­­­app, skype…). Sarà inoltre possibile per il Sic intercettare e registrare l’insieme delle informazioni che passano sulla rete di fibra ottica. Una sorveglianza di massa che permetterà a una struttura essenzialmente clandestina e sotto il controllo del Dipartimento della difesa, da anni saldamente in mano all’estrema destra dell’Udc, di spiare, registrare e analizzare la vita privata di ognuno e ognuna, senza dover fornire una giustificazione particolare e, per buona parte delle misure di sorveglianza, senza che debbano essere ordinate o approvate da un giudice.


Se ancora una volta la lotta al terrorismo viene usata come pretesto per limitare le libertà fondamentali dell’insieme della popolazione, non c’è dubbio che queste limitazioni colpiranno in particolare chi si oppone alle politiche governative La storia della nostra polizia insegna. Basti ricordare le 900.000 persone schedate e sorvegliate dalla polizia federale, come denunciato nello scandalo emerso nel 1989. Lo studio dei documenti relativi a quell’episodio ha permesso di rivelare che, tra gli altri, la Polizia federale spiava in segreto le femministe che rivendicavano il diritto di voto, schedandole sistematicamente come “estremiste”, i militanti della lotta contro l’Apartheid in Sudafrica così come i rifugiati politici. Per la sorveglianza di questi ultimi, la polizia collaborava attivamente con gli scagnozzi delle dittature di Franco (Spagna), Salazar e Caetano (Portogallo), dei colonnelli (Grecia) o della “Savak”, la polizia politica dello Shah (Iran). Per quanto rimanga inaccettabile, il controllo ossessivo dell’opposizione politica non è quindi una novità.


La storia ci offre però una seconda lezione interessante. Nonostante i controlli, gli infiltrati e le schedature, nonostante il coprifuoco, le perquisizioni e le riunioni proibite, i coloni francesi sono stati scacciati dal popolo algerino, le “estremiste” hanno ottenuto il diritto di voto per le donne, l’Apartheid sudafricano è caduto e in Spagna, Portogallo e Grecia i dittatori sono stati sconfitti. Ricordatelo, compagne e compagni che leggete questo pezzo, ma soprattutto ricordatelo voi, che lo state fotocopiando per aggiungerlo al mio dossier.

Pubblicato il

19.11.2015 14:55
Olivier Peter, avvocato
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