Una scuola poco Harmonica

Lo scorso mese di maggio, il popolo svizzero si è espresso a favore della creazione di uno "spazio formativo nazionale". Uno spazio volto ad armonizzare o quantomeno ad aprire le porte ad un'armonizzazione dell'offerta formativa concedendo più potere alla confederazione. La percentuale di partecipazione al voto è stata tra le più basse  mai registrate (attorno al 26 per cento), tuttavia il dato è stato tratto. E il voto apre la via all'introduzione di iniziative federali che limano l'iniziativa dal basso. Primo esempio concreto in questa direzione, HarmoS, il progetto attualmente in consultazione in Svizzera fino a fine mese. Un progetto che in Ticino ha sollevato non poche critiche. In questa "fase calda", abbiamo discusso con Fabio Camponovo, professore, vicepresidente del Movimento della Scuola.

Come dobbiamo leggere queste due tendenze: il sì al voto di maggio e l'opposizione odierna?
È una contraddizione che si può leggere in diversi modi. Nella votazione sulla modifica degli articoli costituzionali si approvavano principi generali (relativi a un coordinamento federale degli studi universitari, della ricerca e delle politiche scolastiche) e i sostenitori del "sì" avevano abilmente posto l'attenzione sull'esigenza, in questi campi, di una cooperazione intercantonale. A chi sosteneva, già allora (e con documentata argomentazione), che l'aumentato potere d'intervento della Confederazione avrebbe poi significato la possibilità di un'uniformazione dei sistemi scolastici di base si rispondeva minimizzando questo rischio e confidando nella possibilità di ottenere eccezioni per il Ticino. D'altra parte, proprio il prevalere di una logica federale, assai poco attenta alle specificità culturali delle regioni linguistiche e sensibile invece alle dimensioni amministrative-gestionali, faceva passare in secondo piano il tema di un radicamento politico-culturale della scuola.
Grave errore di valutazione...
Il concordato HarmoS, con le sue dirette (e indirette) implicazioni sulla natura del mandato formativo e sull'identità della scuola dell'obbligo costringe a riflettere sul fondamento storico, culturale e pedagogico dei sistemi scolastici. Ecco allora che non più soltanto il mondo della scuola ma anche le formazioni politiche che avevano promosso il nuovo corso, oggi, guardando alla realtà cantonale, chiedono di preservare un modello scolastico ticinese per il quale fino a qualche decennio fa si erano battute.
In questi giorni si chiude la fase di consultazione su HarmoS. Quali critiche porterete avanti?
Detto in maniera spiccia: il concordato prevede importanti modifiche strutturali dei curricoli scolastici, una diversa organizzazione dei settori, l'obbligo scolastico a quattro anni d'età ecc. con un approccio omologante che risponde più a criteri quantitativi (adeguarsi alle prassi del maggior numero di Cantoni d'oltralpe) che non qualitativi (promuovere il sistema che meglio risponde alle esigenze pedagogiche). Per la scuola ticinese si tratterebbe di rivedere radicalmente il tradizionale impianto formativo.
Harmos parla di "standard qualitativi". Cosa s'intende esattamente?
Il concordato promuove, attraverso l'idea di standard di prestazione, di "portfolio" di competenze, di monitoraggio dei sistemi scolastici, un concetto prevalentemente pragmatico-aziendale della formazione. Prevale cioè l'ottica del raggiungimento di competenze (misurabili e standardizzate) sull'ottica dello sviluppo armonico della persona. Gli insegnanti ticinesi, pur senza negare (al contrario!) la necessità di un confronto qualitativo dei modelli e la necessaria attenzione agli esiti didattici, temono che attraverso una sorta di "standardizzazione" delle finalità formative si affacci l'idea di una scuola-azienda che considera la crescita culturale alla stessa stregua di una produzione di servizi. La scuola è, (dovrebbe essere), un'istituzione che risponde a mandati culturali, di sviluppo cognitivo e intellettuale della persona.
Ma l'armonizzazione è sempre negativa?
Nel campo educativo non è di per sé stessa né una buona né una cattiva cosa. Ciò che conta davvero sono i principi verso i quali si tende. Conta il progetto pedagogico che ci proponiamo di realizzare. HarmoS, purtroppo e paradossalmente, è un disegno progettuale assai povero di contenuti
Fondamentalmente a essere contrari ad HarmoS sono i docenti, gli allievi e anche i genitori. Tra di voi si è creato un dialogo costruttivo?
L'esigenza di un genitore – io credo – (ma anche l'esigenza di uno studente) è quella di avere una scuola che sappia promuovere lo sviluppo cognitivo, intellettuale e culturale del proprio figlio. E' l'esigenza di una scuola di qualità che sappia ancorare la persona a un universo di valori fondanti e a un quadro di conoscenze storicamente e scientificamente determinate.
Su questi aspetti, in Ticino, proprio in questi mesi, s'è trovato nuovo consenso e nuovi impulsi propositivi. Se c'è un male che affligge la scuola, oggi, probabilmente è proprio l'attenuazione della tensione politico-culturale che legittima il compito educativo (assenza di dibattito, confronto, ridefinizione di modelli, riscoperta del valore etico e civile del progetto scolastico). La "mobilitazione" contro HarmoS ha questo di positivo: ripropone un dibattito civile sulla scuola e sul fare scuola. Di questo dibattito sono partecipi tutti, genitori e studenti, insegnanti e politici.
Per concludere, come dovrebbe essere una scuola valida?
Una scuola valida è - soprattutto in un paese multilingue e multicultrale come il nostro - una scuola di cultura, capace di identificare un consenso popolare, di garantire dignità all'insegnante e al suo difficile lavoro, di fornire all'allievo gli strumenti intellettuali per avvicinare la complessità degli orizzonti d'apprendimento. Di tutto questo, in HarmoS, c'è ben poco.

Pubblicato il

24.11.2006 03:30
Fabia Bottani
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